"Se il presidente pensa davvero che la sovranità sia dell'Unione europea invece che dell'Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi, perché la sua funzione non avrebbe più senso".

E' il senatore della Lega Claudio Borghi a dare fuoco alle polveri con un contundente attacco diretto al capo dello Stato. Il motivo del contendere è decisamente politico e riguarda le diverse visioni sul futuro dell'Europa a pochi giorni dalle elezioni che la premier Giorgia Meloni ha definito un "referendum tra due idee d'Europa". Passano alcune ore surreali in attesa di una smentita della Lega al suo senatore, notoriamente provocatore nelle sue uscite, e invece niente. Anzi, scende in campo il leader, nonché vice-premier, e l'attacco al Colle diventa qualcosa di più serio: "oggi c'è la festa della Repubblica, oggi è la festa degli italiani, della Repubblica, non della sovranità europea", replica a chi gli chiede proprio del fendente a Mattarella. Ci vuole ancora qualche ora per spingere Salvini ad una mezza frenata dando la colpa ai giornali che hanno "travisato" le parole del presidente: "noi non chiediamo le dimissioni di nessuno. Borghi è un nostro ottimo senatore, e io penso che il capo dello Stato sia stato travisato da qualche giornale perchè nel giorno della festa della Repubblica, nel giorno in cui la Costituzione ci ricorda che la sovranità appartiene al popolo, parlare di sovranità europea...". Ma è troppo per molti anche se non per tutti.

Le opposizioni insorgono all'unisono chiedendo un intervento della premier a tutela della figura del presidente. Ma da Chigi non esce una sillaba e in serata anche dalle parti di Fratelli d'Italia vige la consegna del silenzio. Si dissocia invece nettamente Forza Italia con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, con una posizione che ben disegna le distanze esistenti in maggioranza sulla politica europea: "Ogni scelta anti europea è deleteria per l'Italia. Fa bene Mattarella a sottolineare la nostra prospettiva europea. Gli esprimo la mia solidarietà per gli attacchi che ha ricevuto". Anche Maurizio Lupi si smarca e pizzica la Lega ricordando che fu tra i partiti a votare per Mattarella. Il contendere infatti è proprio l'Europa e, nel bene o nel male, finalmente la campagna elettorale italiana ha iniziato a parlare dell'Unione europea. Certamente non si può avere dubbi su quale sia la "visione" di Sergio Mattarella che con una "doppietta" tra ieri e oggi ha detto la sua: "tra pochi giorni consacreremo, con l'elezione del Parlamento Europeo, la sovranità", ha detto ieri; "i Padri della Patria erano consapevoli dei rischi e dei limiti della chiusura negli ambiti nazionali e sognavano una Italia aperta", ha ribadito oggi.

Parole non proprio simili a quelle pronunciate poco dopo da Giorgia Meloni: torniamo "all'idea di Europa, che era una idea di Europa che immaginava che la sua forza, la forza della sua unione, fosse anche la forza e la specificità degli stati nazionali". In questo solco già ampio si è incuneata la Lega forzando però i toni tanto che quella parolina, "dimissioni", a molti è sembrata un attacco personale al presidente e a tanti altri ha ricordato la famosa richiesta di "impeachment" lanciata in tempi non sospetti dai Cinque Stelle ma anche dalla Meloni d'opposizione di allora. "E' gravissimo l'attacco che oggi è arrivato dalla Lega al Presidente della Repubblica, è un attacco senza precedenti", commenta Elly Schlein chiedendo alla premier di "prendere le distanze". Analoga l'uscita di Giuseppe Conte che giudica la mossa della Lega "indegna e sconclusionata". E poi tutti gli altri, da Renzi a Calenda fino ad Avs, definiscono "ignobile" l'attacco al presidente. Intanto il Colle tace, osserva. E dall'alto del suo palazzo il presidente si dedica al suo lavoro, ben sapendo che la campagna elettorale è entrata nel vivo e più passano i giorni più si alzano i toni. Non si commenta certo Borghi, piuttosto si lavora come sempre con tanta attenzione al sociale. "Tenga duro presidente", gli hanno gridato in tanti i cittadini delle categorie più fragili ai quali il presidente ha voluto aprire la porta del Quirinale in occasione del 2 giugno. Non sapevano che in maggioranza c'è qualcuno che chiede le sue dimissioni, ma "quel tenga duro" cadeva proprio nel momento giusto.