C’è chi lo trova cafone e poco discreto. Chi per anni lo ha considerato uno dei codici stilistici meno chic e più sbagliati di sempre. Buono solo per rivendicare l'appartenenza a una classe sociale. O l'ambizione di farne parte. In una parola: superato. Qualcuno però non riesce ancora a farne a meno. Il logo dei marchi d'abbigliamento piace sempre di più, a partire dalle nuove generazioni, che sembrano apprezzarlo di stagione in stagione.
Segno distintivo della moda anni '80 e '90, per la bella stagione le griffe più blasonate sono tornate a rispolverarlo in passerella. Accantonati loghi discreti ed etichette minimal, i grandi marchi ridanno lustro alla propria firma, incidendola a caratteri cubitali sulle proprie collezioni. Da Gucci a Fendi, passando per Emporio Armani, Dior, Versace e Moschino, per la primavera-estate 2018 il logo campeggia su gonne, abiti, giacche, scarpe, accessori e tshirt.
E se vent'anni fa portare il marchio a vista era sinonimo di status symbol, un modo per identificarsi e ostentare l'appartenenza a un'élite di happy few, oggi sembra spogliarsi del suo significato originale, diventando un modo per esprimere i propri gusti e la propria personalità. Lo sa bene Gucci, dove Alessandro Michele rivisita il logo in diverse varianti. Un po' in salsa Seventies, un po' giocando con la celebre doppia G moltiplicata su maglie, marsupi e collane. Da Dior, invece, Maria Grazia Chiuri segue il suo esempio, rispolverando il nome di Monsieur sulle spalline degli abiti, sulle tracolle delle borsette, su gioielli e scarpe.
La logomania contagia anche Versace e Prada, dove le lettere del brand campeggiano in formato XL su t-shirt, mini bag e abiti. C'è poi chi unisce le forze, come Fendi e Fila, che per la fall winter 2018-2019 hanno dato vita a una collezione con felpe e accessori con il nome dei due brand mescolati. Apprezzatissimi tra i Millennial anche i loghi by Dolce e Gabbana e le doppie F di Fendi stampate su pellicce, trench e shopping bag. E se è vero che l'ultima frontiera è vestirsi di loghi da capo a piedi, scritte e messaggi in codice negli anni sono diventati il linguaggio feticcio degli stilisti per veicolare forti messaggi sociali.
Come gli ultimi dirompenti slogan usati per il guardaroba Dior 'Tutti dovremmo essere femministi', 'Perché non ci sono state grandi artiste donne?', e 'Se è no è no e ancora no'. Frasi che raccontano l'attualità e che da un paio di stagioni sono legate a doppio filo alla maison di Avenue Montaigne. Un mezzo per rendere il logo più incisivo e far filtrare il proprio credo. Del resto, che sia informato extra-large, minimal o appena accennato poco importa. Il ritorno del logo sembra sottolineare che in fondo, l'ultima parola spetta sempre alla moda.