“E siamo dunque arrivati al capolinea”. A meno di un colpo di follia da parte di Salvini, il governo 5 stelle-centrodestra è morto e sepolto, grazie all’incapacità di Di Maio e alla superba tattica di Berlusconi (“vadano a pulire i cessi, pericolosi per la democrazia”). Insieme a questo immaginario governo, mai nato, è arrivato anche al capolinea lo stesso Di Maio.
Il Pd, si dice infatti, anche solo per prendere in considerazione l’ipotesi di un governo con i 5 stelle, chiederebbe di sostituire Di Maio con Fico (attuale presidente della Camera). Quindi cambia la commedia. E l’aspirante premier esce di scena. Ma probabilmente non se ne farà niente. E per varie ragioni. La lista delle cose che il Pd dovrebbe chiedere in
cambio, oltre alla testa di Di Maio e alla presidenza della Camera, è lungo circa un chilometro, forse due. Intanto, ci sarebbe la questione del programma: quello dei 5 stelle non esiste, c’è solo un elenco di sciocchezze, già ripudiate in gran parte da loro stessi.
Ma poi ci sono alle spalle 7-8 anni di delegittimazione profonda, di attacchi al di là del bene e del male. Qualcuno, spiritoso, sostiene che la prima cosa da chiedere sarebbero le scuse formali, in diretta tv, di Beppe Grillo. Poi ci sarebbe la questione dei rapporti dei 5 stelle con la Casaleggio & C.: un conflitto di interessi spaventoso e una violazione dei principi democratici come non avviene in nessuna altra parte del mondo. Dopo di che, comunque, nascerebbe un governicchio, asfittico e di breve durata.
Quale sia l’interesse del Pd verso questo possibile mostriciattolo non è chiaro. C’è solo da fare una pessima figura, tentando di governare con un ammasso di incompetenze e di non-politica. Di ideologie sbagliate, dalle città a rifiuti zero alla neo Cassa del Mezzogiorno. Una roba da arrivo di corsa della troika con il randello in mano. La strada maestra, come qui si è sostenuto più volte, giunti a questo punto è quella di un governo “di tutti” (di chi ci vuole stare) per arrivare fino alle elezioni europee dell’anno prossimo. Con ministri scelti direttamente dal presidente Mattarella. Alla faccia della democrazia diretta e anche un po’di quella rappresentativa.
Giuseppe Turani