Il G7 in Canada l'8 e 9 di giugno. Il Consiglio europeo il 28 giugno. L'11 luglio il vertice Nato. La guerra dei dazi scatenata contro l'Unione europea (di cui l'Italia continua a far
parte da socio fondatore) dal sovranista a stelle e strisce Donald Trump. Dossier Iran e caos-Libia. Le richieste di Washington e quelle di Mosca. L''ordinaria amministrazione" non si addice alla Farnesina, alle prese con un'agenda fittissima d'impegni nei prossimi 40 giorni, a fronte di una vacanza di poteri che disarma la nostra diplomazia.
In Canada, l'Italia dovrà fare i conti con la "guerra dei dazi" scatenata da Trump, con l'aggiunta delle pressioni Usa sul fronte delle sanzioni all'Iran. La preparazione del 44° G7 è per la nostra diplomazia è una sempre più affannosa corsa contro il tempo. "Manca una settimana – si lascia andare con Huff Post una fonte autorevole della Farnesina – e non sappiamo ancora con chi discutere i dossier, estremamente impegnativi, che saranno al centro del vertice in Canada...".
Il summit si terrà a La Malbaie in Québec. La riunione sarà presieduta dal premier canadese Justin Trudeau. Il che significa, rimarca la fonte diplomatica, "che nella due giorni si affronterà anche il tema del governo delle migrazioni, con l'inclusivo Trudeau che si troverà a fare i conti con la linea di chiusura predicata e praticata dal presidente Usa". A surriscaldare il clima al G7 ci sarà la questione dei dazi. L'ultimatum americano è scaduto. Il segretario al Commercio degli Usa ha annunciato che a partire dall'1 giugno gli Stati
Uniti applicheranno importanti dazi doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio importati dall'Unione europea, dal Messico e dal Canada.
Washington ha deciso di non prorogare l'esenzione temporanea concessa all'Unione europea fino a mezzanotte del 31 maggio e di applicare imposte del 25% sull'acciaio e del
10% sull'alluminio. Immediata la risposta del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker: "Sono preoccupato per questa decisione. L'Ue ritiene che queste tariffe unilaterali statunitensi sono ingiustificate e contrarie alle regole del Wto. Questo è protezionismo puro e semplice", ha affermato Juncker.
E l'Italia? La tagliola di Trump investe il nostro Paese, quinto esportatore di prodotti finiti. "Senza un governo nel pieno esercizio dei suoi poteri rischiamo un'imbarcata", è il grido d'allarme che esce dalla Farnesina. Di certo, giugno non inizia nel migliore dei modi, per usare un eufemismo. Alla due giorni del G7 dei ministri delle Finanze, che si concluderà domani, per l'Italia parteciperà il ministro dell'Economia di un governo che non c'è più, Pier Carlo Padoan. Un bis del genere l'8 giugno è semplicemente improponibile.
Altra data cerchiata in rosso: 28 giugno 2018. Bruxelles, Consiglio europeo. Un vertice nel quale l'asse francotedesco intende riproporsi come guida del Vecchio Continente. Un disegno che la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno ribadito nel recente vertice bilaterale di Berlino (19 aprile). Difendere l'accordo con Teheran sul nucleare (e i relativi trenta miliardi di euro di affari con l'Iran).
Mantenere gli impegni assunti sul fronte libico, tornato a esplodere, con il sempre più debole governo guidato da Fayez al-Serraj (con relativa difesa delle posizioni petrolifere
dell'Eni).
Quella messa in atto dall'amministrazione Trump contro l'Iran è una manovra sanzionatoria a 360 gradi, che chiama in causa quei Paesi, Italia in prima linea, che con Teheran hanno sviluppato una florida "diplomazia degli affari". Difendere i nostri interessi in Iran significa mettere in conto di entrare in rotta di collisione con l'amministrazione Usa: decidere di farlo è una scelta strategica che avrebbe conseguenze non solo nelle relazioni bilaterali tra Washington e Roma ma anche nel sistema di alleanze, a partire dalla Nato, di cui Usa e Italia fanno parte. Non farlo, significa invece rinunciare a trenta miliardi, praticamente una Finanziaria: a tanto ammonta il giro d'affari tra Italia e Iran.
Non c'è un solo dossier tra quelli più caldi e immanenti su cui l'Italia può pensare di uscirne bene senza un coordinamento con Bruxelles e, soprattutto, con le cancellerie europee che più sono coinvolte su questi terreni: Germania, Francia, Regno Unito.
L'Italia, confidano ad HP fonti della Farnesina, "non è sotto esame ma certamente è sotto osservazione da parte dei nostri partner europei e non solo...". E quel "non solo" fa tremare le vene dei polsi: Stati Uniti, Federazione Russa, Israele, Arabia Saudita, Iran...
Non meno ostico è il dossier Libia. Sarà solo questione d'immagine, sta di fatto che mentre in Italia andava in scena l'ennesima puntata della tragica soap opera politica interna, a
Parigi Macron riuniva i quattro leader libici divisi su tutto ma uniti nel riconoscere all'ambizioso inquilino dell'Eliseo ciò che più gli interessava: la premiership della Francia
come potenza europea più attiva non solo in Libia ma nell'intero Nord Africa.
Ad essere scalzata da questo ruolo è l'Italia, che in poche settimane ha dilapidato, o quasi, il tesoretto di credibilità acquisito con l'iniziativa del governo Gentiloni a sostegno dell'esecutivo di Tripoli e della stabilizzazione della Libia: il centro europeo sul Nord Africa si sposta da Roma aParigi, e questo non è certo un bene per gli interessi economici, geopolitici e di sicurezza del nostro Paese. Temporalmente è il summit più lontano, ma quanto ai temi in agenda, il vertice dei Paesi Nato è tra i più delicati in agenda. Due i temi caldissimi: i rapporti con la Russia e quelli con l'Iran.
Con le discussioni già in corso sulle sanzioni a Mosca e quelle a Teheran. Con la Francia che già sta trattando da sola per proteggere Renault e Total. Di tutto ciò il neo ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, 63 anni e tre figli, ha piena contezza. Per il suo percorso accademico e per gli incarichi pubblici ricoperti. Una vita passata in gran parte all'estero, dedicata al mercato, alla concorrenza, al diritto internazionale.
Ministro senza portafoglio agli Affari europei nel governo Monti (16 novembre 2011 - 28 aprile 2013) e poi nel governo Letta (28 aprile 2013 - 22 febbraio 2014). Giudice presso la Corte europea di Giustizia di Lussemburgo. Specializzato in antitrust, è stato fino al 2006 direttore generale del Bureau of European Policy Advisors della Commissione europea. Vicesegretario generale dell'esecutivo Ue dal 2002 al 2005, era stato in precedenza direttore del Servizio antitrust (2000-2001) e capo di gabinetto dell'allora commissario Ue alla Concorrenza Mario Monti (1999-2000); con lo stesso incarico aveva affiancato il neopremier anche quando era alla guida del Mercato interno (1995-1999). Tra il '92 e il '94 consigliere dei governi Amato e Ciampi. Insegna Diritto dell'Unione Europea alla Luiss di Roma.
Il presidente del Consiglio uscente, Paolo Gentiloni, si era rivolto a lui per promuovere il trasferimento a Milano dell'Agenzia europea dei medicinali (Ema). "Enzo Moavero è la figura giusta per l'Agenzia del Farmaco a Milano" aveva sintetizzato l'allora ministro
delle Politiche Agricole e oggi segretario reggente del Pd, Maurizio Martina. Una valutazione condivisa dall'allora governatore della Lombardia, il leghista Roberto Maroni e dal sindaco di Milano Giuseppe Sala: "Sono molto soddisfatto della nomina di
Enzo Moavero Milanesi a consigliere del Presidente Paolo Gentiloni per la candidatura per l'Agenzia europea del farmaco. Avevo sostenuto poco tempo fa la necessità di affidarci a un ambasciatore autorevole per supportare in Europa la candidatura di Milano e Moavero ha sicuramente il profilo giusto per rappresentarci in questa sfida", fu il commento di Sala.
Di Bruxelles, intesa come Ue, il neo ministro degli Esteri ha una conoscenza ventennale. Dal punto di vista dell'esperienza rappresenta una sicurezza,e il suo europeismo,dicono ad Huff Post diplomatici che lo hanno affiancato nei suoi incarichi europei, non si è mai tradotto in un "acritico ossequio alle direttive Ue che confliggevano con gli interessi
nazionali". Il 7 maggio scorso, il neo ministro degli Esteri ha scritto un articolo per
il Corriere della Sera, il cui titolo è tutto un programma: "Unione europea, cinque no che potremmo voler dire". Dei "no" che non mettono in discussione il nostro ancoraggio all'eurozona ma che delineano un atteggiamento "intelligentemente aggressivo" (virgolettato della nostra fonte a Bruxelles) nei confronti di scelte che più che a una visione condivisa, nascono sulla direttrice Berlino Parigi.
Quanto all'"Italexit", davanti a chi professa l'uscita dall'Ue e l'abbandono della moneta unica, Moavero Milanesi si esprimeva così al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini sul dossier immigrazione: "L'Ue non dispone ad oggi di strumenti operativi, istituzionali e normativi adeguati per affrontare il problema delle migrazioni, le sue
dotazioni in questo senso sono assolutamente insufficienti". Dunque, "è responsabilità dei governi che non vogliono affrontare in maniera condivisa il tema dell'immigrazione, e non si può certo chiedere alla Commissione Ue di intervenire su settori che non le sono di competenza".
Se davanti ai rifugiati politici "non si pongono problemi a livello europeo, dato che si tratta di persone protette da convenzioni internazionali che travalicano i poteri dell'Ue e che
quindi vanno accolte per la loro condizione", lo stesso non si può dire per i cosiddetti immigrati economici, la cui gestione però gli Stati membri non vogliono demandare a
Bruxelles". Per poi concludere: "Ricordiamoci che questa Europa tanto criticata, è
quella che ci ha garantito sessant'anni anni di pace e di benessere, ricordatevi che all'inizio del'900 erano gli italiani a migrare in America per la situazione disperata che vivevano nel loro Paese". Era il 24 agosto 2016, non un secolo fa. Alla Farnesina tirano un sospiro di sollievo. La figura di Moavero Milanesi, è una riflessione diffusa, non si presta ad una marginalizzazione del MAE, e abbina competenze con esperienza maturata sul campo. Di questi tempi, non è davvero poca cosa.