Era la mattina del 15 giugno 1918 quando i cannoni austro-ungarici lungo il Piave aprirono il fuoco contro il fronte italiano: cominciò la battaglia del Solstizio, una delle più violente del primo conflitto mondiale. Durò più di una settimana, la resistenza sul Piave, fiume sacro alla Patria, fu strenua e da allora la Grande Guerra prese una strada favorevole all'Italia.
"Il Piave mormorò: non passa lo straniero", scrisse il compositore Giovanni Ermete Gaeta dopo quel successo. Di quella battaglia fu protagonista e annotò ogni dettaglio il tenente di artiglieria Arnaldo Prato (nato nel 1893 e morto all'età di 94 anni), il cui diario, cent'anni dopo e nel centenario della Festa dell'Arma di Artiglieria, è stato pubblicato da Paolo Gaspari Editori ed è uscito in questi giorni. Diversamente da altre memorie di guerra, il diario di Prato abbraccia tutto il periodo che va dal 1914 al 1919.
Di famiglia piemontese trasferitasi a Roma, aveva deciso di lasciare gli studi universitari per arruolarsi, e la sua prima destinazione, quale ufficiale di artiglieria appena maggiorenne fu il fronte dell'Isonzo. Passando di reparto in reparto, Prato finì nella battaglia del Solstizio, cominciata ricorda - con un infernale bombardamento di migliaia di bocche di fuoco contro gli italiani, l'assalto violento della fanteria nemica, aspre lotte e il tentativo di aggiramento dell'intero sistema difensivo tricolore. La discesa su Vicenza, Treviso e Vicenza, tuttavia, fallì e il nemico non riuscì a passare.
"Il fuoco della mia batteria - racconta Prato nel diario - si era mantenuto vivissimo di giorno come di notte. Le bocche da fuoco erano arroventate al punto da perdere la vernice e mai si era visto un simile consumo di granate". Anche il Piave venne in soccorso della controffensiva italiana. "Un'improvvisa piena - ricorda Prato aveva travolto ponti e passerelle" e vennero a mancare al nemico, proprio nel momento cruciale, rinforzi e rifornimenti. "La sera del 24 - si legge nel diario - nessun austriaco era più al di qua del Piave, tranne numerosissimi morti e prigionieri. L'esercito imperiale aveva perduto ben 130mila uomini tra morti e feriti - di fronte ai nostri 85mila - 25mila prigionieri, 70 cannoni, 75 bombarde, 1.300 mitragliatrici, 150 lanciafiamme, 37 mila fucili e molte tonnellate di altro materiale. La battaglia del Solstizio, come l'aveva chiamata il poeta soldato D'Annunzio aveva cancellato la disfatta di Caporetto e segnato l'alba radiosa della vittoria finale nostra e degli alleati".
Insignito di importanti riconoscimenti militari e decorato con la prestigiosa croce di cavaliere dell'Ordine dell'aquila imperiale tedesca, Prato prese parte anche al secondo conflitto mondiale e fu destinato a far parte delle truppe operanti in Africa settentrionale, dove fu comandante del XXX raggruppamento artiglieria. Il 2 maggio 1943 fu catturato con i suoi uomini dagli inglesi a Capo Bone inviato in campi di prigionia, in Algeria e Marocco. Nel 1944, ancora prigioniero, fu trasferito negli Usa. Rientrò in Italia nel 1946, sbarcando nel porto di Napoli con la stessa uniforme grigio-verde, ormai logora, che indossava quando fu fatto prigioniero, avendo sempre rifiutato di indossare le uniformi di foggia americana messe a disposizione nel campo di prigionia. Concluse la carriera, dopo la guerra, con il grado di generale di corpo d'armata.