E’ cominciato alle 9 di mattina di un freddo venerdì invernale il cammino dell’Uruguay ai Mondiali in Russia. Tra i tanti tifosi della Celeste ci sono anche gli italiani che dopo aver maturato il dramma della mancata qualificazione si riversano totalmente sul paese che li ha accolti, una terra che vive di passione per il fútbol.
La ferita del clamoroso flop azzurro è ancora molto forte, la tristezza è forte. Nonostante ciò per tutti da queste parti almeno c’è la possibilità di tifare per la seconda nazionale, una squadra che merita l’appoggio incondizionato per la tradizione, l’impegno e le dovute circostanze. In famiglia, con amici o sul posto di lavoro, ieri mattina gli italiani hanno seguito con grande sofferenza la difficile partita inaugurale contro l’Egitto che ha segnato la fine di un incantesimo negativo per l’Uruguay nei suoi esordi nella coppa del mondo: era dal 1970 che non vinceva la prima partita.
“Gli uruguaiani vogliono la stessa cosa che vogliamo noi” aveva detto negli spogliatoi il maestro Tabárez prima di caricare i suoi per l’ingresso nel secondo tempo. Un’agonia terminata solo a pochi minuti dalla fine con il miracoloso colpo di testa di Gimenez, che ha ricordato a tutti (Tabárez in primis) quello di Godin contro l’Italia quattro anni fa: un gol di anima, cuore e sacrificio che racchiude tutto il dna della “garra charrúa”.
“Siamo italiani ma oggi tifiamo calorosamente per l’Uruguay” racconta a Gente d’Italia, Eugenio Nocito ex presidente dell’Associazione Calabrese originario di Altomonte. La sua è una storia come quella di tanti altri connazionali arrivati da bambini nel nuovo paese dove hanno costruito una vita: “Ovviamente quando gioca la nazionale italiana abbiamo la pelle d’oca, la seguiamo con tanta passione perché rappresenta un simbolo del nostro paese. Abbiamo il cuore diviso a metà e questa volta tifiamo Uruguay. Non può essere altrimenti verso la terra che ci ha accolto. Nei giorni scorsi ne parlavo con i miei parenti in Calabria: è triste non partecipare ai Mondiali ma almeno per noi va meglio”.
Dovuto all’orario abbastanza insolito, Nocito ha visto la partita all’interno della sua officina meccanica insieme ai suoi figli e agli altri collaboratori: “Ero abbastanza sereno perché sapevo che il gol sarebbe arrivato. Certo, il rivale era abbastanza debole e si poteva fare qualcosa in più. Per come la vedo io bisogna crescere collettivamente per poter arrivare avanti. Per quanto siano stelle internazionali, i singoli da soli non bastano. Il calcio è così”.
A casa e in compagnia della famiglia. È stata un’atmosfera tranquilla quella che ha accompagnato la mattinata dell’esordio mondiale per Gerardo Passante, nato a Vietri di Potenza e presidente dell’Associazione Fratellanza Italiana. “Non avrei mai pensato che l’Italia non riuscisse a qualificarsi. Questa assenza fa malissimo ma per fortuna che almeno abbiamo l’Uruguay, la seconda patria, la terra che ci ha accolti e che ci ha visto crescere. Oggi tifiamo insieme per la nostra seconda nazionale e magari chi lo sa, se si arriva lontani potremmo organizzare una riunione italiana per appoggiare la Celeste”.
Con Gianfranco Adamo, giornalista sportivo e conduttore della “Voce dei calabresi” entriamo nei dettagli con un’analisi critica per questa prima prova divisa tra luci ed ombre: “Una vittoria preoccupante. L’importante era vincere, certo, l’obiettivo è stato raggiunto ma la prova è stata negativa. Bisognava fare di più, creare più gioco e più occasioni. Se questa squadra ha obiettivi importanti e vuole andare avanti c’è tanto da migliorare”. Secondo il conduttore del programma di Radio Centenario, il principale responsabile è stato il commissario tecnico Tabárez che “avrebbe dovuto mettere in campo una squadra con più qualità inserendo fin dall’inizio Lucas Torreira”, astro nascente del centrocampo uruguaiano in procinto di essere venduto dalla Sampdoria all’Arsenal. Anche per Adamo la partita è stata un’occasione per un incontro familiare con i genitori calabresi: il padre di San Giovanni in Fiore, la madre di Bisignano. “Credo che gli italiani che vivono in Uruguay questa volta tiferanno più forte per la Celeste che è l’unica speranza. Prima il cuore era diviso in due, questa volta no. Magari se si andrà avanti nel torneo si potrebbe organizzare una riunione per tifare tutti insieme Uruguay”.
La febbre dei Mondiali sta salendo un po’ ovunque anche nel Bel paese, nonostante tutto. Dal meridione è partito il gruppo su Facebook “Italiani per la Celeste” che ha raccolto in pochi giorni 650 adesioni. Così lo ha spiegato il suo fondatore, un giornalista di Lauria, Giuseppe Petrocelli autore del documentario “Pequeña Lauria” sulla comunità lauriota in Sud America: “Se non può essere azzurro, facciamo che almeno sia celeste. Archiviata la delusione per la mancata qualificazione della nazionale italiana, infatti, esiste una generazione di tifosi che non solo non si arrende e non accetta di stare soltanto a guardare, ma che, a ben vedere, ha deciso di creare un movimento per sostenere, appunto, l’Uruguay”.
Possono essere almeno quattro i motivi per cui ogni italiano dovrebbe tifare per la Celeste secondo Petrocelli: “È il paese estero più italiano al mondo. A Montevideo e dintorni pasta e pizza fanno parte della vita quotidiana. Gli uruguaiani si rivedono nei nostri stessi valori più profondi (amicizia, generosità, semplicità, famiglia). Ma soprattutto perché anche in Uruguay il calcio è metafora di qualcosa che va ben oltre un semplice pallone che rotola”.
(di Matteo Forciniti)