Il 18 giugno a Vienna aveva inizio la conferenza UNISPACE+50 un evento organizzato dall’Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite (UNOOSA) per festeggiare il cinquantenario della prima conferenza sull’uso pacifico dello spazio tenuta a Vienna nel 1968.
La giornata era stata ricca di eventi con il discorso di apertura di Simonetta di Pippo, direttore di UNOOSA, una tavola rotonda sul quadro normativo che regola l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio a partire dallo Outer Space Treaty che, dal 1967, è stato sottoscritto da 107 nazioni e rappresenta la base della Space Law. Avevano parlato il presidente uscente e quella entrante del COPUOS (Committe for the Peaceful Use of Outer Space) che avevano fatto notare come abbiano visto crescere in modo molto significativo il numero dei paesi membri del comitato che sono passati da 71 a 92 nel giro di pochi anni, a testimonianza del sempre maggiore interesse che i governi ripongono nell’utilizzo dei dati spaziali per prendere delle decisioni informate sullo sviluppo sostenibile, per controllare il territorio e per intervenire in caso di disastri ambientali.
Poi c’era stata una tavola rotonda con i rappresentanti del mondo industriale privato, che rappresentano la forza trainante del rinnovato interesse per lo spazio, quindi si era parlato di cambiamenti climatici ed, infine, il pomeriggio era stato dedicato alle donne nello spazio. Dopo una giornata così densa avevo pensato di concedermi un momento di relax al bar del complesso delle Nazioni Unite e, entrando, ho notato un gruppetto di colleghi americani incollati ad un cellulare che trasmetteva in streaming il discorso del Presidente Trump che stava illustrando la sua nuova Space Policy Directive.
Secondo i bene informati avrebbe dovuto parlare del problema dei detriti spaziali e delle misure da prendere per cercare di non fare crescere un problema già serio. Invece, tra lo stupore dei miei colleghi, il Presidente ha annunciato che era sua intenzione istituire una sesta branca delle forze armate americane che si chiamerà Space Force e dovrà difendere gli interessi americani nello spazio. L’annuncio non poteva venire in un momento meno opportuno. Mentre a Vienna si discuteva dei grandi successi ottenuti nell’ambito dell’uso pacifico dello spazio, una delle nazioni a più alta visibilità spaziale informava il mondo di voler fare una Space Force.
Cosa mai vorrà dire? Si chiedevano gli amici americani che in quel mondo vivono e lo conoscono bene. Mi hanno piegato che la Space Force esiste già all’interno della Air Force e si chiama Air Force Space Command e conta su 36,000 effettivi stazionati in 134 basi in giro per il mondo (dati del Time magazine). Lo Space Command si occupa di osservazioni della Terra, ovviamente finalizzate al controllo, di previsioni del tempo, di comunicazioni, di controllo remoto delle armi (al suolo) e di sicurezza. Il tutto con un budget che nel 2017 è stato di 8,5 miliardi di dollari (grossomodo la metà di quello della NASA) dedicato all’acquisizioni di nuovi strumenti senza includere il personale che grava su un altro budget. Trasformare questa divisione in una struttura a sé stante aumenterebbe i costi, senza migliorare le prestazioni, dice Sean O’Keefe, che l’argomento lo conosce bene, perché è stato Amministratore della NASA. O’Keefe sostiene che creare una Space Force è una soluzione in cerca di un problema anche perché, a prima vista, sembra essere in netto contrasto con il trattato per l’utilizzo dello spazio e dei corpi celesti siglato anche dagli USA decenni fa.
Tra l’altro, il trattato vieta l’utilizzo di armi nello spazio e sui corpi celesti. Perché mai allora, il Presidente Trump ha continuato il suo discorso dicendo che gli USA vogliono tornare sulla Luna per ragioni commerciali, militari e scientifiche? Pensa ad un avamposto della Space Force sulla Luna?