Il mondiale russo ha una nuova, giovane stella: Kylian Mbappé, ventenne francese di origini camerunesi e algerine, un ragazzo dal cuore d'oro e dal gol facile, un fenomeno autentico. Il 4-3 della Francia sui resti dell'Argentina porta, con una doppietta, la sua firma.
Messi, triste solitario y final come non mai, torna a casa, senza aver mai vinto niente con la Selección, preso di mira dalla critica e dai tifosi. Stesso destino per l'altro compagno dei tanti (forse troppi) palloni d'Oro: Cristiano Ronaldo, completamente assente nel match perso dal Portogallo, 2-1, contro il formidabile Uruguay di Cavani (il puntero si è infortunato, potrebbe saltare il match con i transalpini). Messi e Ronaldo rappresentano la caduta degli dei fragili, incapaci di diventare, da soli, decisivi: come fece Diego Armando Maradona nel 1986 in Messico.
Campioni che, in Russia, si sono smarriti, soprattutto Messi, apparso sempre fuori luogo, mal gestito, emotivamente, tatticamente, dall'allenatore Jorge Sampaoli, quel tipo dai troppi tatuaggi e dalla poca saggezza e fermezza. Siamo in attesa di vedere cosa farà il brasiliano Neymar.
Cosa ci offriranno ancora Belgio e Inghilterra. E tutto il resto. La strada verso la finale è ancora lunga e perigliosa. Ma questo mondiale possiede già un vincitore. Il suo campione del mondo, sopra tutto e sopra tutti. Un uomo che sta dimostrando di possedere coraggio, volontà, determinazione, quella "garra" tipicamente uruguaiana: Oscar Tabarez, detto El Maestro, per il suo passato di insegnante e di filosofo. È rimasto alla guida della Celeste malgrado la sindrome di Guillain-Barré, una neuropatia periferica che attacca il sistema motorio.
Tabarez deve camminare con una stampella, fa fatica a muoversi, ma è sempre lì, in panchina, con il suo sguardo fiero, a dare le disposizioni giuste ai suoi giocatori, a soffrire e gioire con loro, a trasmettere la sua energia positiva, la sua forza di volontà. A vivere la partita come un sogno ancora possibile.
Lui, che da una vita guida l'Uruguay: c'era a Italia '90, eliminato dagli azzurri agli ottavi, arrivò secondo alla Coppa America brasiliana di Rio del 1989, 1-0 per la Seleçao, gol di testa di Romario, in quella effimera rivincita del '50, quando tutto il Brasile finì nel gorgo di una tragedia nazionale e il portiere mulatto Moacyr Barbosa scivolò nel girone dei dimenticati e degli invisibili.
Fece sua la Coppa America nel 2011 in Argentina. Allenò anche in Italia, nel Cagliari e nel Milan: senza fortuna, non capito, soprattutto da Berlusconi, anche per le idee di sinistra di quell'intellettuale incapace a piegarsi ai voleri capricciosi del Potere. Hombre vertical, sempre e per sempre. Dal 2006 è di nuovo la guida spirituale e tecnica della Celeste. In Patria è un esempio, un modello, nella sua sofferenza e nella sua tenacia si rivelano le radici di una nazione che, anche nel calcio, non molla mai, lotta sino alla fine. E noi siamo qui a rendere omaggio a questo Maestro, nella fatica del suo sorriso troviamo la meraviglia del vivere, del non rassegnarsi e del resistere: Tabarez, per questo, ha già vinto. La partita più difficile. Il resto è nei misteri di un pallone che rotola, divaga, trova un palo o l'angolino giusto.
Darwin Pastorin