Addio a Luciano Álvarez, giornalista, docente universitario uruguaiano. Nato a Montevideo nel 1949, Álvarez è stato per tanti anni professore di storia e docente della facoltà di comunicazione dell’Università Cattolica.
Oltre all’attività di insegnamento, ha avuto una vasta traiettoria anche nel giornalismo come collaboratore del quotidiano El País ed è stato autore di diversi libri. Tra i suoi lavori più importanti si ricorda il programma televisivo “Inéditos”, andato in onda su Canal 10 tra il 1989 e il 1994, che affrontava temi storici dell’Uruguay. Nel 2012 pubblicò insieme a Leonardo Haberkorn il libro “Relato oculto. Las desmemorias de Víctor Hugo Morales”, sul passato del famoso telecronista uruguaiano radicato in Argentina.
Álvarez era un grande appassionato di calcio e tifoso del Peñarol. Oltre a ricoprire diversi incarichi all’interno del club, scrisse due libri sulla storia della squadra che prese il nome dalla città piemontese di Pinerolo: “Peñarol y siempre Peñarol - La transición de 1913 y la cuestión del decanato” e “Historia de Peñarol” scritto insieme a Leonardo Haberkorn.
Intervistato da Gente d’Italia nel 2014, ci raccontò quel fortissimo legame tra l’Italia e una delle squadra più vincenti del Sud America: “Quando l’immigrato arriva nel nuovo paese costruisce una subcultura con forti richiami alla terra di origine. Le istituzioni sportive o culturali offrono forme di relazioni sociali. In Uruguay, a differenza dei paesi vicini, il calcio è stato fin dai primi anni un fenomeno di massa molto popolare. Ecco, il Peñarol si inserisce in questo contesto, in una società che si stava profondamente trasformando: c’è una tradizione storica fin troppo evidente che collega gli italiani a questa squadra tanto nei giocatori come negli aneddoti e nelle parole. È un fatto indiscutibile. Come succede in ogni società, anche in Uruguay c’è stata una forte resistenza contro gli immigrati e, naturalmente, contro gli italiani. A tutto ciò ha contribuito anche la formazione del del Club Nacional de Football che nei suoi primi anni di vita aveva un discorso classista e razzista e si autodenominava come la squadra nazionale”.