Dalla paura generata dal famoso film di Steven Spielberg alla passione per il “mostro dei mari”. Tanto da farne una tesi di dottorato. È la storia della biologa marina Francesca Romana Reinero che, dopo avere svolto ricerche in Sud Africa, Egitto, Florida, California, Madagascar, Papua Nuova Guinea, Norvegia, Messico e Bahamas, Maldive e altri paesi ed essersi immersa nel Mar Rosso, nell’Oceano indiano e nei mari di mezzo mondo, è ora approdata all’Università della Calabria.
«Sì, all’inizio c’era la paura per gli squali. Poi, crescendo, ho scoperto nei mari delle Maldive che quei pesci con la pinna affiorante non erano poi così pericolosi come pensavo», ha raccontato per spiegare la sua scelta. Ventotto anni, dopo gli studi all’Università Sapienza di Roma e una laurea in “Scienze del Mare”, è approdata sulle colline di Arcavacata, dopo diversi viaggi in tutto il mondo in cerca di squali da conoscere e da studiare, per un dottorato sul “mostro dei mari”, come lo ha definito lei, in alcuni suoi articoli scientifici.
Il suo progetto di dottorato, coordinato da Sandro Tripepi ed Emilio Sperone (docenti all’Università della Calabria) e Primo Micarelli (del Centro studi Squali di Massa Marittima), è intitolato “Biologia delle specie, target di Elasmobranchi batipelagici nel Mediterraneo centrale”. Secondo quanto è stato comunicato dall’Università calabrese, lo studio si concentra sul ruolo del “gattuccio”, una specie di piccolo squalo mediterraneo, come bioindicatore della presenza di metalli pesanti in mare.
Una scelta giustificata dal fatto che questa particolare specie, chiamata scientificamente “Scyliorhinus canicula, «è abbondante, commerciale e il suo prelievo non comporta alcun danno alla sopravvivenza della popolazione». come spiega la stessa Francesca nei post pubblicati sul suo sito internet. «Allo stato attuale – racconta la dottoranda – si conoscono solo ed è fondamentale tutelarli poiché sono top predator all’apice della catena alimentare marina, svolgendo un ruolo cruciale nel mantenimento e nella strutturazione degli ecosistemi marini. La loro diminuzione o addirittura la loro scomparsa causerebbe ingenti cascate trofiche all’interno della rete alimentare, con conseguenze per l’ecosistema alquanto gravi».
Si tratta, tuttavia, di pesci a rischio. «Le minacce che affliggono questi pesci – aggiunge Francesca – sono essenzialmente due: la pesca non sostenibile e l’inquinamento dei fondali marini. Gli squali inoltre, avendo cicli biologici lenti e tassi di crescita della popolazione bassi, non sono in grado di sostenere uno sforzo di pesca troppo elevato né tantomeno l’inquinamento marino».
Il lavoro, che Francesca ha portato avanti, è stato presentato lo scorso giugno al terzo Congresso Mondiale “Sharks International”, un evento che, ogni quattro anni, offre ai ricercatori di tutto il mondo un momento di confronto e di scambio di idee sulle recenti scoperte nel campo della biologia e dell’ecologia degli squali. Ma il sogno di Francesca, che riguarda ovviamente gli squali e le loro caratteristiche biologiche uniche, va oltre: «Vorrei scoprire la cura del cancro del pancreas e della pelle tramite lo studio dello squalene, un olio contenuto nel fegato degli squali che isolerebbe le cellule tumorali contenendole in spazi relativamente piccoli».