La diffusione dei salumi in Uruguay è stata notevolmente influenzata dagli emigrati italiani che hanno portato in queste terre le loro diverse preparazioni. Tutto questo è ben visibile ancora oggi nei numerosi prodotti in vendita nei supermercati o nella storia delle più importanti aziende del settore che continuano, generazione dopo generazione, a portare avanti la tradizione familiare. Prosciutto, salame, mortadella, pancetta: oggi qui si trova praticamente di tutto. Tanto nei loghi delle aziende come negli slogan pubblicitari a volte capita di vedere in bella mostra il tricolore italiano o di risaltare lo "stile italiano" per conquistare i consumatori. D’altronde, si sa, il Belpaese è sinonimo di qualità. Ma è davvero sempre così per tutti i salumi che si producono in Uruguay? Nei giorni scorsi una notizia -passata praticamente inosservata sulla stampa locale- ha trovato grande diffusione sul web. Il portale Sudestada ha pubblicato martedì un’informazione relativa ai controlli sanitari degli ultimi tre anni realizzati dalla Intendencia di Montevideo che ha scovato in diversi casi la presenza di listeria monocytogenes. A essere coinvolte sono le principali marche del paese.Il batterio in questione prolifera soprattutto nei cibi freschi, salumi, carne cruda o poco cotta e formaggi a base di latte non pastorizzato. Si tratta di un germe molto pericoloso che colpisce soprattutto bambini, donne incinta e persone anziane che può in casi estremi portare anche alla morte. Nonostante i sintomi più diffusi siano vomito e diarrea, nei soggetti vulnerabili ha il 50% di probabilità di avere conseguenze mortali. Come svelato da Sudestada, le autorità municipali realizzano periodicamente dei controlli e -in caso di trovare delle irregolarità- applicano multe e ritirano la merce contaminata. Tuttavia, ciò che manca è "un sistema di allerta alla popolazione" dato che oltre a una miriade di risoluzioni ufficiali pubblicate sulla pagina web della Intendencia, l’informazione è praticamente nulla. Nel periodo compreso tra il luglio 2015 e il maggio di quest’anno sono stati registrati oltre una decina di casi: ad essere contaminati con la listeria monocytogenes sono prevalentemente i wurstel seguiti dalla pancetta affumicata e poi anche da prosciutto, salame, butifarra e sanguinaccio. Sarubbi -l’azienda che ha il tricolore nel suo logo- è lo stabilimento maggiormente chiamato in causa con tre multe: due volte per della pancetta affumicata (15 giugno 2015 e 5 settembre 2017) e l’ultima volta (2 marzo 2018) per del prosciutto cotto confezionato in vaschetta. Sarubbi però non è l’unica impresa. Nell’elenco si trovano anche Centenario, Picorell, Camposur, Kali, Donycas, Tienda Inglesa e Leader Price (quest’ultima del supermercato Disco). C’è da preoccuparsi dunque? Le autorità invitano alla calma ed evitano allarmismi. Analice Beron, direttrice del dipartimento di Salute del Comune, ha affermato al portale Ecos che la "popolazione viene avvisata soltanto nel caso in cui ci siano dei seri rischi", cosa che avviene raramente. Una volta trovato il batterio, la Intendência "agisce rapidamente" e "in meno di 24 ore ritira la merce contaminata". Nella maggior parte dei casi -ha rassicurato- "questi prodotti non arrivano ai consumatori". Gli italiani che conoscono questo settore sembrano invece non essere sorpresi dalle ultime notizie. Ezio De Gasperi, un trevisano attualmente in pensione ma con oltre quarant’anni di esperienza, ricorda con nostalgia un regalo che fece al presidente della Repubblica Vázquez. "Non ho mai mangiato un salame così buono" gli disse il presidente. Fu un vero orgoglio per lui. "Oggi" sostiene preoccupato- "il vero problema è la scarsa qualità dei 0rodotti oltre che gli alti costi che danneggiano la produzione. Non sappiamo cosa mangiamo, cosa mettono dentro i salumi. Spesso si usano scarti di carne congelata ma dovremmo essere maggiormente informati. È vero che i controlli rispetto al passato oggi sono aumentati ma c’è ancora tanto da fare per quanto riguarda l’informazione". Calabrese, titolare di un'industria di allevamento di bestiame a San José, Eugenio Nocito, vede la perdita della qualità come principale conseguenza di un aggressiva competitività che si è diffusa negli ultimi anni in Uruguay: "Oggi comanda il mercato e si guarda solo il prezzo finale. Le aziende hanno perso quello che era il rispetto alla sana alimentazione e alla qualità. La produzione ha dei costi molto elevati e le imprese per sopravvivere e superare la forte concorrenza sono costrette ad adattarsi a questa logica. Tutto questo è un fenomeno degli ultimi anni. L’unica cosa certa è che prima un prosciutto sapeva di prosciutto, oggi invece sa di plastica". Secondo Nocito, la situazione dei controlli sanitari è "notevolmente migliorata rispetto al passato" con "l’applicazione di norme internazionali". In ogni caso, "la Intendencia può e deve fare qualcosa in più: ulteriore personale e tecnologie da destinare ai controlli, più multe ed anche una forte campagna di prevenzione coinvolgendo sia gli stabilimenti nell’uso delle buone pratiche che i consumatori finali". Sono proprio questi ultimi, in definitiva, "i più esposti al pericolo dato che hanno informazioni insufficienti".