Chi ha detto che quella del governo è una manovra lacrime e sangue? Non tutta l'editoria piange e non tutte le aziende sono chiamate a dare l'oro alla patria: la radiotelevisione di Stato festeggerà il Natale con un assegno da 80 milioni di euro incassabile in due anni, infilato all' ultimo momento all'interno della manovra. Quaranta milioni per il prossimo anno e altrettanti per il 2020, da sommare a quelli che la legge di bilancio dirotta ai cinema, ai teatri, alle fondazioni lirico-sinfoniche e a tutto il mondo che, in senso molto lato, passa come "cultura". Questo mentre restano confermati i tagli dei contributi all' editoria privata, come preteso dai Cinque Stelle: la bozza della nuova versione del provvedimento prevede la loro riduzione a partire dal prossimo anno, per arrivare all' azzeramento nel 2022.
Nel caso della Rai si tratta dell'ennesima promessa rimangiata dal governo. Era previsto, infatti, che andasse allo Stato metà del gettito in più che l'inserimento del canone in bolletta ha prodotto a partire dal 2016. Siccome il nuovo metodo di pagamento genera ogni anno maggiori entrate per circa 190 milioni di euro, il servizio pubblico radiotelevisivo ne avrebbe presi 95, portando il totale del canone a sfiorare quota 1,8 miliardi.
Tanti, ma insufficienti a far quadrare i conti di un'azienda incapace di tagliare a dovere le proprie spese. Così nei giorni scorsi, come raccontato dal giornalista Gianluca Vacchio sul proprio blog, il capo delle Finanze della Rai, Giuseppe Pasciucco, ha spiegato ai consiglieri d'amministrazione che senza l'intero "extragettito", ma solo con metà di esso, l'azienda avrebbe chiuso il 2019 in passivo per 40 milioni di euro.
La stessa cifra, guarda caso, che ora il governo fa piovere sull'azienda. Fa ridere, insomma, che l'emendamento con cui arriva il cadeau leghi la generosa elargizione «al fine di incentivare l'evoluzione tecnologica e la digitalizzazione»: tale obiettivo non è una novità dell'ultimo minuto, ma una cosa che la Rai deve fare per rispettare il contratto di servizio siglato con lo Stato nel 2018. La banale verità è che quei 40 milioni annui servono a tappare preventivamente il buco di un'azienda che continua ad andare in rosso malgrado le entrate record garantite dalle bollette elettriche. Così, anziché «abbassare un po' il canone negli anni», come si era impegnato a fare Luigi Di Maio poche settimane fa, s'incrementa la dose di biada al cavallo di viale Mazzini.
Per il resto, chi doveva essere beneficiato lo sarà. Le categorie dello spettacolo sembrano avere trovato nei Cinque Stelle chi riesce a foraggiarle meglio di quanto abbia fatto il Pd negli ultimi tempi. L'emendamento alla manovra sul quale lavoravano ieri notte i due partiti di governo porta a 404 milioni di euro (4 in più di quanto stanziato da Dario Franceschini) la torta pubblica destinata al cinema e all' audiovisivo.
Il fondo unico per lo spettacolo aumenta di 8 milioni, dopo che il ministro grillino Alberto Bonisoli, appena arrivato, ce ne aveva piazzati altri 10: il totale per il 2019 supera così i 351 milioni, nei quali trovano posto i 12,5 devoluti alle fondazioni lirico-sinfoniche.
A sostenere questi e altri settori provvedono anche i 240 milioni di euro che finanziano la carta-regalo per i nuovi diciottenni, spendibile per «rappresentazioni teatrali e cinematografiche e spettacoli dal vivo, libri, musica registrata, titoli di accesso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche e parchi naturali, nonché per sostenere i costi relativi a corsi di musica, di teatro o di lingua straniera». Mentre i siti web potranno contare sugli aiuti in favore dei progetti «finalizzati a diffondere la cultura della libera informazione plurale, della comunicazione partecipata e dal basso, dell' innovazione digitale e sociale» e così via. Più soldi per tutti mentre si cerca di uccidere la carta stampata, dunque, ma questa non è una novità.