L'Italia ha avuto da poche ore tre notizie importanti su cui tutti dovremmo riflettere: il documento di economia e finanza 2019 approvato dal Governo; il World Economic Outlook di primavera del Fondo Monetario Internazionale; un documento "appello per l'Europa" di Confindustria e dei tre sindacati (Cigl, Cisl e Uil), ovvero di buona parte delle rappresentanze produttive italiane. Di questi tre documenti due sono importanti, sia pure con diversi scopi e consistenza. Si tratta di quelli dell'Fmi e delle parti sociali, mentre quello del Governo è molto preoccupante perché mostra (attenuandola) la gravità della crisi dell'economia italiana senza dare alcuna concreta e credibile indicazione su come superarla.
DEF 2019 Se si confrontasse il Def 2019 con tutte le previsioni fatte dal Governo da maggio 2018 si vedrebbe che nessuna è confermata. Facile sarebbe l'ironia, che tuttavia non è certo opportuna, perché si tratta del nostro Paese. La crescita del 2019 scende allo 0,1%. Di ciò viene incolpata la debolezza economica europea e internazionale, affermando però che il Governo la fronteggia mettendo in campo due pacchetti di misure di sostegno agli investimenti - il Decreto Crescita e il Decreto Sblocca Cantieri - che portano il Pil programmatico allo 0,2% quest'anno e allo 0,8% nel 2020, 2021 e 2022. Il Def parla poi di spinta agli investimenti, alla produttività e alle riforme strutturali, accennando alla "flat tax" posta appena prima delle misure a sostegno delle famiglie e della natalità. In attesa di leggere il testo del Def, rileviamo che sui dati di finanza pubblica si ammette il peggioramento, ma si attenuano le cifre dello stesso. Basti considerare il debito pubblico sul Pil che il Governo fissa programmaticamente nel quadriennio 2019-2022 al 132,6%, al 131,3%, al 130,2%, al 129,9%.
FMI E IL RISCHIO EURO-ITALIANO Per il Fondo Monetario la storia è diversa. Il rapporto tra debito pubblico e Pil per il 2019 è previsto al 133,4%, per poi salire nel 2020 al 134,1% e al 2024 al 138,5%. Questo preoccupa molto l'Fmi, come poco tempo fa ha preoccupato l'Ocse, la Commissione europea e una molteplicità di valutatori neutrali tutti concordi. Impossibile supporre dunque la congiura verso il modello "sovranista-populista" per timore della sua diffusione euro-globale. Il Fondo Monetario colloca la sua preoccupazione sull'Italia in altri elementi, quale il calo degli investimenti, un clima di incertezza finanziaria associato a spread elevati, un quadro macroeconomico peggiore rispetto a quello previsto e una domanda interna debole. I riferimenti all'Italia appaiono marcati al punto che la situazione critica del Paese sembra essere paragonabile alla Brexit. Le priorità del Fondo per l'Italia sono le "riforme strutturali", come misure per decentrare la contrattazione salariale che contribuirebbero ad allineare i salari e la produttività del lavoro spingendo sia flessibilità che la produttività. Questa ricetta è piuttosto semplicistica, mentre molto più solide sono quelle della Commissione europea che puntano su riforme della pubblica amministrazione, su più investimenti per la produttività e per superare il dualismo Nord-Sud. In ogni caso il rallentamento della Eurozona porta dall'1,8% nel 2018 (con l'Italia a +0,9%) all'1,3% nel 2019 (con l'Italia allo 0,1%).
L'APPELLO PER L'EUROPA DELLE PARTI SOCIALI Diverso è lo scopo primo del documento delle rappresentanze produttive italiane, probabilmente il migliore sull'Europa uscito in Italia in questo periodo pre-elettorale che, come tale, richiede concisione. Nel definire "il perché dell'appello", oltre ai richiami ai principi fondanti la costruzione europea, netta è l'affermazione che i Paesi europei singolarmente presi sono impotenti davanti ai "giganti economici" (leggasi Usa e Cina) e alla globalizzazione (leggasi mega-oligopoli) senza regole chiare ed esecutive. Su "Unire persone e luoghi" spiccano delle proposte simili a quelle che io sostengo da più di 10 anni e che in due occasioni sono state condivise pubblicamente anche dalla autorevolezza di Romano Prodi. Si tratta della Emissione degli EuroUnionBond con garanzie reali conferite dai Paesi della Ue (o meglio Eurozona) per finanziare progetti infrastrutturali e di reti nel senso più ampio anche per sostenere l'innovazione tecnoscientifica per una crescita sostenibile ed inclusiva. Queste proposte (poi ulteriormente sviluppate da me anche di recente nel saggio "Eurobonds for EMU stability and structural growth" del 2017) sono simili a quelle delle parti sociali, ma con notevoli differenze sulle risorse mobilitabili (più piccole quelle delle parti sociali) e sulle modalità di pagamento degli interessi sugli eurobond. La "carreggiata" è comunque la stessa. Gli altri temi trattati dalle Confindustria e sindacati sono anche molto importanti (dotarsi degli strumenti per competere nel nuovo contesto globale; potenziare la rete di solidarietà sociale europea; sviluppare il dialogo sociale e la contrattazione). Sono proposte che tutti (dicasi tutti) i ceti produttivi (e quelli che vogliono diventare tali) approverebbero.
EURODEMOCRAZIA TRE POSSIBILI VARIANTI Il documento delle parti sociali delinea a mio avviso quel modello di liberalismo sociale, di sussidiarietà solidaristica in cui i conti pubblici in ordine si uniscono alla economia degli investimenti e del lavoro che hanno fatto forte la democrazia degli Stati europei e della Costruzione Europea. Discutere se lo schema istituzionale debba essere quello di un federalismo accentuato ci sembra adesso utopico mentre realistico sarebbe un confederalismo a geometria variabile che è ben compatibile con forme selettive di funzionalismo. Si tratta, queste ultime, di due tipologie di "Unione" compatibili con la Storia europea e con la Eurodemocrazia che è una tipologia di democrazia a se stante.