Le hanno contate e pesate, sono oltre cento.
Ma chi sono? Le imprese recuperate in Italia dai lavoratori. La risposta ferma, clamorosa e squillante, aperta alla speranza di un futuro migliore.
La risposta a chi? Alle crisi del settore e alle inadempienze della politica.
Hanno fatto che cosa? Intanto il recupero di posti di lavoro impiegati nelle aziende rilanciate dai dipendenti, 15mila tra diretti e indotto.
Dati che regalano respiri profondi e prospettive incoraggianti. Duecento milioni è il giro d’affari, ovvero il fatturato complessivo registrato ogni anno dalle imprese rilevate e rilanciate dai lavoratori. Dati che emergono dall’inchiesta dal titolo "Lavoratori e industria" svolta dal quotidiano La Repubblica. Quattro esempi anche di caratura storica come elementi caratterizzanti del fenomeno titolabile "quando gli operai salvano la fabbrica". La cartiera Pirinoli, nel cuneese, oltre 150 anni di storia, è stata rilevata nel 2015 da un gruppo di operai insieme con un ex direttore. La Mancoop di Castelforte, Basso Lazio, cooperativa con una cinquantina di soci lavoratori, produce nastri per imballaggi. Salvata anch’essa. Come l’Alfa Engineering di Modena, con sbocchi in Medio Oriente e Russia, produce giunti monolitici nel settore Oil&Gas. Quarto esempio, localizzato addirittura nella famigerata Terra dei Fuochi, in Campania. La Italcables di Caivano, in provincia di Napoli, produce cavi e trefoli in acciaio per amare il cemento. Gli operai si sono presi la scena un anno fa. Quando la multinazionale belga Bekaert fuggì letteralmente, quasi di nascosto, da Figline Valdarno, in Toscana. La fabbrica venne abbondonata perché in Romania produrre fili d’acciaio costa molto meno. Bene, gli operai decisero all’istante di continuare, al grido chi non lotta "è un gran figlio", eccetera eccetera. Presidiato lo stabilimento giorno e notte per il timore che la proprietà piombasse lì a smontare i macchinari e svuotare i magazzini, decisero di continuare. Come e in che modo? Immediata la decisione di rinunciare ad azionisti e manager. Improvvisato un mini concerto davanti alla fabbrica, aderì anche Sting, proprietario di un casale da quelle parti. Stanchi delle promesse della politica, una cinquantina di quei 240 lavoratori in cassa integrazione, ora hanno deciso di prendere definitivamente in mano il proprio destino personale. Inviata alla Legacoop Toscana la richiesta di verifica della fattibilità di un progetto cooperativo tra lavoratori. Il piano per far ripartire a pieno regime la fabbrica. A fronte degli impegni enunciati dal vice premier Di Maio, mai onorati finora.
L’interessamento della misteriosa azienda bielorussa? Mai visto, a Figline non si è presentato nessuno. Il governo non ha nulla in mano. Sul tavolo, a dispetto del presunto interessamento dei "cavalieri bianchi", c’è solo la proposta degli operai. Giovedì prossimo è in programma un’assemblea aperta a tutti gli operai. Servirà a fare il punto sul progetto di cooperativa e a pianificare i successivi step. La manifestazione di resistenza operaia della Bekaert è solo un esempio, non isolato, in Italia. Le fabbriche autogestite in forma di cooperativa crescono in giorno in giorno. Forniscono una risposta alternativa alle crisi industriali, rispetto a quella classica degli investimenti privati e del management professionale. La maggior parte opera nel settore manufatturiero. I numeri sono quelli sopra citati.
Più della metà dei lavoratori recuperati sono compresi nei distretti tra l’Emilia Romagna e il Veneto. Almeno secondo il parere dello studioso autore del portale impreserecuperate.it, se le imprese continuano a produrre merce, sia pure con impatto ridotto, vuol dire che il modello va comunque rivisto. La prevalenza del Nord-Est mostra – ed evidenzia – come il reddito medio delle famiglie consenta investimenti da parte dei lavoratori. Al contrario di quanto accade al Sud. Fa infatti un certo effetto notare come la cosiddetta "legge Marcora", scritta nel 1989, dimostri tuttora la sua efficacia. Ideata dall’allora ministro dell’Industria in quota Dc nel governo Spadolini, continua a dimostrare la sua efficienza superstite. Nel campo della predisposizione degli strumenti finanziari di supporto per i lavoratori. Quelli di un’azienda in crisi, che decidono di formare una cooperativa. Esperienze passate alle quali oggi guardano con speranza gli operai della Bekaert, la Macoop di Castelforte, Basso Lazio, la Pinoli di Roccavione, Cuneo. La fabbrica fallita nel 2012, rilevata da un gruppo di lavoratori con l’ex direttore. Lavoratori che scrissero una bella lettera espressione di solidarietà ai colleghi della Embraco in crisi. Producono sette milioni di fatturato, insieme con Italcables di Caivano in Terra dei Fuochi, la falegnameria Bolfra di Castelfiorentino, la Nuova Cev di Empoli (articoli in cristallo), la Italstick di Solera, l’Alfa Engineering di Modena Il sessantacinque per cento serve l’estero. Carta autoadesiva, film plastici, oleografici e termoretraibili, giunti monolitici, Oil&Gas. Tante storie, soprattutto grandi.
Magnifiche storie italiane di resistenza operaia. Avanti così, indietro non c’è più posto.