La conferenza è quella dell'addio, eppure Massimiliano Allegri chiarisce subito: "Niente domande dai giornalisti, risponderò solo a quelle dei giocatori". Che sono tutti in sala stampa, assieme alla platea di cronisti. C'è anche Andrea Agnelli al fianco dell'allenatore che in cinque stagioni alla Juventus ha conquistato 13 trofei, mancando però l'obiettivo più importante: la Champions. 

IL DISCORSO PRESIDENZIALE

"Sono numeri incredibili, sono stati cinque anni bellissimi. Per Max nutro affetto, stima, riconoscenza, condivisione, penso a fatica e soprattutto a tante vittorie", l'incipit del lungo monologo presidenziale. "Pensiamo a un'inaspettata cavalcata fino a Berlino, l'anno successivo arriviamo a ottobre in una situazione critica per poi fare 15 vittorie consecutive quando tutti stavano preparando il necrologio, poi il testa a testa con il Napoli l'anno scorso, poi qualcosa di incredibile quest'anno, vincendo il campionato praticamente alla trentesima. In tutto questo, in questo percorso, la cosa che mi rende più orgoglioso è che io penso di aver trovato un amico, oltre ad aver condiviso progettualità professionali, con cui potermi confidare su tanti argomenti".

Quindi sul futuro: "Ho la massima fiducia in Nedved, Paratici, Re e Ricci che hanno la leadership operativa della società. Per concludere devo dire che quando pensavo tra me e me dopo la sconfitta con l'Ajax di andare avanti con Max era un pensiero sincero. Poi sono seguite riflessioni che dimostrano la capacità di analisi di un gruppo per arrivare alla decisione. Siamo arrivati alla conclusione che questo era il momento giusto per chiudere il ciclo, con un acuto e un successo come lo scudetto. Persone intelligenti hanno capito che non era il caso di andare avanti ancora. Non nascondo che ci sia un po' di tristezza e commozione".

Quindi la maglia consegnata ad Allegri e una precisazione: "Non mi hanno influenzato le critiche dei tifosi, ha contribuito il cuore. Gestendo certe aziende certe decisioni vanno prese nel momento giusto, poi sarà il futuro a dire se certe scelte sono state corrette. E al di là delle situazioni esterne che vengono dette, noi viviamo una realtà all'interno e quando uno entra in un bar e commenta quello che succede in quella società sportiva o in quella azienda, se non c'è dentro non potrà mai sapere tutti gli elementi dietro certe scelte e per cui vengono attribuite determinati responsabilità dentro un'azienda che esprimono la propria opinione. A me non piacciono gli yes man, voglio opinioni forti. E dopo aver ascoltato le decisioni si prendono decisioni forti. Chi non è in grado di reggere queste pressioni non può gestire o società sportive o aziende".

IL TECNICO

La parola passa poi ad Allegri, che dice la sua sul clamoroso divorzio: "Abbiamo discusso e abbiamo espresso i nostri pensieri sul futuro e sul bene della Juventus. Da lì abbiamo capito che non era il caso che l'anno prossimo l'allenatore fossi io. Siamo cresciuti tutti insieme, è arrivato il momento per poter lasciarsi nel migliore dei modi. Sono convinto che lascio una società solida con un gruppo straordinario sul piano tecnico e personale. I rapporti con Agnelli, Nedved e Paratici? Sono ottimi, non cambia niente. Qui ho trovato una società ben organizzata e cito anche Marotta. Questo era il momento per lasciarsi nel migliore dei modi".

Quindi il ringraziamento a un altro protagonista che se ne va: "Barzagli che lascia il calcio, un vero professore della difesa. Domani dovrà essere una vera festa. Quando capisci fisiologicamente che ti devi separare, non c'è bisogno di andare avanti. Ci sono stati diversi incontri, il presidente da decisionista quale è ha preso questa decisione. È molto più semplice di quanto sembri, quello che resta sono cinque anni straordinari. Sono contento ed emozionato".

Quindi una secca smentita: "Non ho chiesto rivoluzioni o anni di contratto, a questo non eravamo neanche arrivati. C'è stata una cena col presidente, mi avete inseguito e non mi avete trovato, e l'altro ieri in sede abbiamo capito. Il presidente ha preso questa decisione che non si poteva andare avanti e l'allenatore non sarei stato io. Molto più semplice di quello che sembra. La cosa certa è che abbiamo fatto cinque anni straordinari. Non abbiamo divertito? Giocar bene o male dipende dal risultato. A volte sento telecronache dove una squadra comanda fino al 92', prende gol al 93' e si dice che ha giocato una partita straordinaria l'altra. Io che sono allenatore dovrò analizzare la prestazione e non il risultato".

Le ultime parole prima del commiato sono una difesa strenua del suo modo di intendere il calcio: "A nessuno piace perdere, se qualcuno si accontenta di uscire e giocare bene e perdere non fa per me. Io nelle prime 5 partite a Cagliari ho fatto 0 punti. Si diceva che giocavo bene, ma non vincevo.  Il calcio non è giocar bene, cos'è giocar bene? Io ancora non l'ho capito se qualcuno me lo spiega ascolto poi magari ci proverò. Però nella vita ci sono le categorie: ci sono i giocatori che vincono e che perdono, dirigenti che vincono e no, allenatori che vincono e non vincono mai. Caspita, se non vincono mai ci sarà un motivo".