Nel silenzio dell’urna? Dio ti vede, Salvini no! Volendo meglio precisare, al momento, a rispondere alla cloaca razzista è piuttosto un papa, Bergoglio. Non resta che ringraziarlo, laicamente, ovvio. Terribile o rassicurante a dirsi, la Chiesa cattolica, nella congiuntura odierna - o almeno è questa la sensazione accecante - sembra costituire l’unica replica etica a ciò che abitualmente perfino il più ignorante di noi ha appreso a definire "sovranismo" oppure, in subordine, "populismo". Declinazioni orgiasticamente ulteriori dell’antico, patriottardo, "nazionalismo", categorie che sembrano giungere direttamente dagli striscioni della estrema destra identitaria, graficamente scandite dal font creato da Jack Marchal: hai capito bene, gli stessi caratteri del "Boia chi molla!" o "Mussolini grande statista!" o "Primo Carnera campione in camicia nera".
Opposizione attiva e operante, per non dire "diga" che, stilisticamente parlando, corrisponderebbe nella memoria agli abissi muniti di stimmate della "crociata anticomunista" post-bellica, risposta alla sistematica campagna di disprezzo verso ogni insieme sociale debole e irregolare, siano essi migranti, rom o piuttosto, volendo, gay e lesbiche. Le parole pronunciate finora dal papa argentino "ex cathedra", circa i diritti di cittadinanza, in questo senso, sono così da ritenere esemplari, salvifiche, assodata la vacanza delle opposizioni politiche, parole fosforescenti, stelle fisse nell’idea della difesa del bene comune della tolleranza e della democrazia. Parole sempre più nette all’indirizzo di Matteo Salvini e d’ogni suo replicante, affinché certo Minculpop razzista, cominciando dalla factory di propaganda della Lega, comprenda che la difesa della dignità umana è valore insindacabile.
Basterà? Avrà compreso il ministro dell’Interno che, sempre storicamente parlando, da che mondo è mondo, è sconsigliabile e autolesionistico scegliere la Chiesa come nemico frontale? Far fischiare il papa in piazza come fosse un sicario, un mandante morale dei "comunisti" di sempre? Occorrerà ricordargli che, epicamente ragionando, al di là delle bandiere della laicità che ci appartengono, dalla guerra dei nazifascisti contro la Spagna repubblicana nel 1936 alla Roma del sindaco-chirurgo defenestrato Ignazio Marino, chi tocca il Vaticano, se non proprio muore, alla fine, non si rivede alle urne? L’invito di Francesco ai cattolici a tenersi a debita distanza dalla Lega lo si tocca ormai con mano. C’è ancora, così presumiamo, da immaginare che, sempre per il gesuita Bergoglio, la paccottiglia sanfedista evocata da Salvini, ora Dio-Patria-Famiglia, ora perfino innalzare il rosario come corpo contundente esorcistico rispetto alla presunta invasione islamista, risulti pura oscenità, cose da "Todo Modo" di Leonardo Sciascia, insieme al ricorso all’Immacolata Concezione, presa in prestito quasi allo stesso modo di ciò che accadeva con il manto della Virgen del Pilar da parte dei fascisti spagnoli di Francisco Franco, e da essi indicata come "ombrello" a protezione delle bombe dell’aviazione "rossa" di André Malraux.
Restando al rosario, non sembra che, diversamente da altri prelati dalle voglie pre-conciliari, Francesco possa essere, se non per pura cortesia, immaginato lettore del "Rosariante", periodico a cura di un’associazione d’amici dell’omonimo feticcio religioso: foglio che, trasportato dal vento, estati fa giunse tra le mie mani - giuro - nell’isola di Favignana, pagine su cui dimorava pure un omaggio a Léon Bloy, scrittore tradizionalista, cui la pubblicistica cattolica deve un giornale intitolato "Le Pal" ("Il Palo"), nel senso della tortura da infliggere all’infedele affinché il supplizio sia pienamente compiuto, la vittima redenta. Intendiamoci, la Chiesa cattolica non è mai stata un corpo politico-confessionale compatto, unitario, e aldilà dell’infallibilità papale, infallibile appunto "per dogma", o almeno così si riteneva fino a decenni fa, in Bergoglio va ravvisata la medesima persona che, mettendo in discussione proprio la "cathedra", ha pronunciato: "Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?".
Ancora lui, assicura un amico sacerdote, resta in ogni caso un "tradizionalista" per storia e impronta culturale, una figura di certo non assimilabile alla "Teologia della liberazione", percorso di riflessione dottrinario che da San Francesco giunge alla lettura marxiana della realtà, posto che "Non vi sono solo peccatori, ma anche persecutori che opprimono e vittime del peccato che richiedono giustizia" e ancora che "Il dovere della Chiesa è di sostenere le vittime dell’oppressione politica e delle violazioni dei diritti umani". Quel movimento che Wojtyla e Ratzinger hanno cercato di ridurre al silenzio e annientare, tuttavia Francesco, al di là di ogni riflessione complessiva sul magistero ecclesiale, nella situazione data si è ritrovato a catalizzare le pulsioni - vogliamo chiamarle strettamente "democratiche"? – proprie di una risposta netta alla subcultura autoritaria, para-fascista, alla cui testa avanza proprio, per sua scelta, Matteo Salvini. Mettendo da parte banalità secondo cui l’unica vera opposizione "di sinistra" giungerebbe oggi, insieme all’opzione del "restiamo umani", unicamente al papa, sia detto prosaicamente, al momento, accanto al lenzuolo apparso a Napoli e dedicato amorevolmente proprio al vicepremier, dove con scrittura spray brilla un "71", bene, accanto a quello striscione che, sia detto per pura filologia, nella smorfia partenopea corrisponde all’ "Omm ‘e mmerd", c’è modo di scorgere un festone altrettanto lucente, idealmente steso tra un capo e l’altro del Colonnato della Basilica di San Pietro, che sembra dire con chiarezza, perché no, antifascista, giù le mani dai più deboli, dai migranti, dai diversi, e forse, ancora meglio, aggiunge implicitamente un ‘basta’ rivolto anche ai rosari, all’intera artiglieria clerico-elettorale da "Comitato Civico" del tempo di Luigi Gedda e di Mario Scelba, ammesso che Salvini e i suoi sappiano di questi nomi e delle loro storie pregresse.
Nell’attesa che, dopo il "Vinci Salvini", Luca Morisi e gli altri piccoli Mezzasoma de "La Bestia" comincino, perché no, a far piangere di blu le proprie Madonne al photoshop, su banner e meme elettorali, ricordiamo che l’attuale stagione politica, dove scorgiamo evidente un Sessantotto della destra, parole un tempo oscure, da iniziati, quali sedevacantismo, cioè affermare che, deceduto Pio XII, il Trono di Pietro è rimasto vuoto, se non occupato da "abusivi" posseduti dal Demonio, insieme a termini come terrapiattismo sembrano conquistare le migliori caselle dei cruciverba della "Settimana Enigmistica". Così, per l’immensa apocalittica gioia di Antonio Socci che contestualmente sulle pagine di "Libero" rileva come "molti in Vaticano hanno dimenticato Dio e pretendono che tutti facciano lo stesso" o della dottoressa Silvana De Mari, pronta a denunciare accanto a Mario Adinolfi ogni uso improprio degli orifizi, e forse anche di quei principi della Chiesa che nei giorni scorsi hanno presenziato la manifestazione della Lega in piazza Duomo a Milano, così a conferma dell’opposizione interna alto-clericale all’agenda di Francesco.
La medesima che, in tonaca o cravatta, ha stigmatizzato il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere di Sua Santità, per avere spezzato il sigillo della legalità calandosi nel tombino di via Santa Croce in Gerusalemme ridando la corrente agli occupanti di uno stabile prossimo nella gestione politica ai centri sociali di Roma. Nessuno lo auspica, ma se dovesse mai tornare a noi il tempo celeste delle scomuniche, così come quell’altra volta spettò ai "comunisti", be’, volendo, la cosa ci potrebbe pure stare, si tratterebbe infatti di un atto di parità, di equità, i fulmini del rinnovato Sant’Uffizio questa volta addosso a chi ha fatto proprio un lessico razzista che, pensa un po’, mancava dalla stagione del fascismo.
FULVIO ABBATE
SCRITTORE