Evviva, stavolta è finita davvero, questione di giorni, al massimo un paio di settimane dal voto di domenica, per aprire la crisi ufficialmente. Dopo l’ennesima commedia dell’assurdo fra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio da una parte e Matteo Salvini dall’altra, la frattura si è trasformata in taglio netto, insomma non c’è più storia, sarebbe solo teatrino.
Certo, domenica sarà fondamentale la verifica dei pesi elettorali di una maggioranza inevitabilmente naufragata, purtroppo sulle spalle degli italiani e dell’Italia di dolore ostello. Sul peso dei grillini non c’è dubbio, bene che vada caleranno 10 punti, del resto per quello che hanno dimostrato fra Governo del Paese e amministrazione di Roma, ci sembra pure poco. Ma è sulla Lega che si gioca tutto, sull’attesa che il 30 e passa per cento dei sondaggi venga confermato per togliere a Salvini qualsiasi scusa sulla posizione, ogni giochetto sulla sua intenzione. Perché, sia chiaro, dopo l’Europa non solo si aprirà la crisi di governo, ma un percorso che segnerà come non mai il futuro dell’Italia, politico, economico, sociale e internazionale.
Ebbene, secondo noi, alla crisi seguirà un Governo Casellati. Mattarella è consapevole che in questa situazione un tecnico sarebbe improponibile, da esperto di diritto rispetterà la prassi, offrendo al presidente del Senato il compito di gestire il traffico per andare al voto. È vero, ci sarà lo scoglio della manovra, ma state sicuri che si risolverà con l’aumento dell’Iva e qualche taglio; del resto quale migliore occasione per risolvere la diatriba definitivamente, accollandone la responsabilità politica al presidente piuttosto che ai partiti? Dopodiché tutti a casa, si aprirà la sfida delle sfide, che segnerà il futuro dell’Italia, di tutti noi, si andrà al voto e il problema sarà quello degli schieramenti, ma il dubbio riguarderà solo la destra. Perché a sinistra è tutto chiaro, l’accordo fra Pd e grillini è bello e fatto, ci sarà un fronte postcomunista da Nicola Zingaretti a Luigi Di Maio fino a tutti i cespuglietti falce e martello, ma a destra?
Va da sé che l’idea di Matteo Salvini e Giorgia Meloni sull’esclusione di Forza Italia non sta in piedi in nessun senso; servirebbe solo a consegnare il Paese ai comunisti, alla patrimoniale, alla persecuzione fiscale. Oltretutto in questo quadro ci aspettiamo che la Meloni smentisca categoricamente, sulla sua parola, ogni inciucio con Gianfranco Fini, perché se così non fosse sarebbe gravissimo, sia politicamente sia moralmente. Non si può accusare Silvio Berlusconi di inciucio col Partito Democratico, mentre ci si accorda con chi è andato a braccetto con Giorgio Napolitano per sfasciare il centrodestra e ha mentito al Parlamento quando ne era il presidente.
Ma al netto di questa voce, che ci auguriamo sia smentita e tolta di mezzo, resta il problema dei numeri per superare il 40 per cento, della credibilità di un fronte di destra liberale, pluralista, culturalmente aperto e riformista. Che piaccia o no, senza Forza Italia non ci sarebbe né l’una né l’altra condizione, infatti la soglia elettorale sarebbe lontana, quella culturale non ne parliamo, senza Berlusconi resterebbe solo il pericolo di consegnare il Paese al peggiore fronte comunista della storia.
Ecco perché Salvini e Meloni devono pensare bene a quello che dicono e che fanno, escludere il partito che ha fondato il centrodestra potrebbe significare sconfitta sicura, una colpa tanto esiziale da superare il peccato originale. A buon intenditor poche parole, cari Matteo e Giorgia.
ALFREDO MOSCA