Non sono bravo a scrivere sui viaggi, ma ci provo. Sono a Gerusalemme, nel punto piú alto della torre del Palazzo di Erode. L’opuscolo che ho in mano mi informa che questo palazzo-fortezza fu fatto costruire da Erode il Grande, un ebreo abile che si arruffianó prima a Marco Antonio e poi (caduto questi in disgrazia) a Ottaviano Augusto, che lo posero a governatore del protettorato romano in Palestina nei trent’anni che precedettero la nascita di Gesú Cristo. Sto parlando proprio di quell’Erode che, nel Vangelo di Matteo, é mostrato come il crudele sovrano che ordina la strage degli innocenti. Il suo lungo regno garantì comunque un periodo di stabilità a una regione giá all’epoca molto contestata.
Dall’alto della torre guardo Gerusalemme, l’antica Gerusalemme rinchiusa da una muraglia sui quattro fianchi. La stessa Gerusalemme che cantava il Tasso, liberata dai crociati, i cui versi dovevamo imparare a memoria alla scuola media. Fa molto caldo, il termometro si avvicina ai 35 gradi e l’immagine é suggestiva. Una cittá con le sue mura di cinta, circondata da una modernissima Gerusalemme con l’impronta dello Stato di Israele. Piú in lá, si estende il deserto. Guardo l’antica Gerusalemme; é meno grande di come la immaginavo. La voce neutra dello speaker audio, che ho affittato, mi dice che le sue mura misurano un chilometro: l’antica Gerusalemme quindi ha una superficie di solo un chilometro quadrato. Piccoli vicoli connettono le diverse zone dell’antica cittá: vicino alla torre, a sinistra vedo il quartiere cristiano con la cupola del Calvario; a destra il quartiere armeno. Piú in lá, a sinistra la zona musulmana con la imponente cupola dorata della moschea di Al-Aqsa e a destra la zona ebrea con il Muro del Pianto.
È come se stessi difronte ad un torta quadrata divisa in quattro porzioni, a sua volta quadrate. La divisione - antica - é il prodotto di religioni che si sono sempre contese questa cittá proprio dentro quelle quattro mura: gli ebrei l’hanno vissuta da sempre, i cristiani - cattolici e ortodossi - la vedono come la cittá simbolo della passione di Cristo, i maomettani la ricordano come il luogo da cui il profeta Maometto su un destriero ascese al cielo. Un chilometro quadrato, solo un chilometro di cittá circondata dal deserto e disputato da migliaia di anni. "Perché? - mi chiedo - Perché questo pezzo di deserto ammuragliato é stato sempre conteso dall’umanitá da che mondo é mondo? Perché tante battaglie, tanti odi, tante morti? Perché religioni che si rapportano ad uno stesso Dio si sono da sempre confrontate con tanta ostilitá nel nome di Gerusalemme?".
Penso all’antico Egitto dove gli ebrei furono condotti schiavi, alle legioni romane che con una volontá ferrea conquistarono Gerusalemme e la fortezza di Masada, ai musulmani che sostituirono il dominio romano, alle crociate di scarso successo (salvo la prima), poi all’impero ottomano per giungere alla storia difficile e piena di conflitti che caratterizza dal 1948 questa cittá, contesa da ebrei e palestinesi. Tra tante chiese, moschee e luoghi santi, riesco a scorgere dalla torre giovani vestiti in borghese con una mitragliatrice in mano. Ce ne sono tanti. Sicuramente sono orgogliosi di avere in mano quelle mitragliatrici nel nome di Dio; cosí come i Crociati avanzavano fieri sulla cittá circa mille anni fa facendo fuori a chi non la pensasse come loro, sempre nel nome di Dio.
Guardo affascinato questa cittá che non ha niente, che non vanta nessuna ricchezza, salvo questo fascino quasi divino, che ha diviso l’umanitá. Osservo quelle mura, il loro colore ocra, le stradine brulicanti di migliaia di esseri umani. Ma anche immagino quelle mura insanguinate da generazioni di devoti, profeti, mercanti e guerrieri. Perché questa e non un’altra cittá? Che ci ha trovato la religiositá umana tra quelle mura nel mezzo del deserto? Non immagino una risposta; solo continuo a guardare commosso quel chilometro quadrato pieno di vita e di dolore.
JUAN RASO