Il reddito di cittadinanza rischia di scoraggiare il lavoro legale e il suo finanziamento, tutto in deficit, mette a rischio l’equilibrio dei conti pubblici. È una bocciatura senza fronzoli quella che la Corte dei Conti mette in atto nei confronti del cavallo di battaglia dei 5 stelle. Ma anche sulla quota 100, misura cara sia ai pentastellati che alla Lega, la magistratura contabile ha un giudizio severo: per il sistema pensionistico serve una soluzione ben diversa, cioè “strutturale e permanente”.
Il quadro generale dell’economia non è incoraggiante: le incertezze sulla riduzione del debito “rischia di incidere negativamente sulle prospettive di crescita del Paese”. L’attenzione alla tenuta dei conti pubblici porta la Corte dei Conti a indicare quale dovrebbe essere la destinazione d’uso degli eventuali risparmi che potrebbero venire da una minore spesa per il reddito di cittadinanza: devono andare a ridurre il disavanzo. Recita così uno dei passaggi del Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica presentato in Senato: il reddito di cittadinanza “risponde all’esigenza, acuita dalla crisi, di contrasto alla povertà. Tuttavia, il finanziamento in deficit di tale misura è motivo di preoccupazione per gli equilibri di bilancio di medio termine, date le condizioni di elevato debito pubblico. La previsione di un meccanismo di salvaguardia, il ‘blocco’ delle domande e la rimodulazione dell’ammontare del beneficio in caso di esaurimento delle risorse disponibili per l’esercizio, è quindi importante per il controllo dei saldi. Un eventuale minor esborso rispetto alle stime originarie andrebbe utilizzato, almeno sotto lo stretto profilo della sostenibilità dei conti pubblici, per ridurre il disavanzo e rientrare dal debito”.
Anche qui una linea differente rispetto a quella del governo: i 5 stelle, infatti, vogliono destinare 1 miliardo (il risparmio previsto ndr) a misure per la famiglia. Sulla quota 100, la misura introdotta dal governo che prevede la possibilità di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro, la Corte è netta: “L’introduzione di quota 100 ha comunque posto sotto i riflettori una reale esigenza: quella di un maggior grado di flessibilità del requisito anagrafico di pensionamento. A riguardo sarebbe necessaria una soluzione strutturale e permanente, più neutra dal punto di vista dell’equità tra coorti di pensionati e tale da preservare gli equilibri e la sostenibilità di lungo termine del sistema”.
“Qualunque scelta - aggiunge - pone un problema di cassa non indifferente, ma una ‘correzione attuariale’ della componente retributiva dell’assegno, in caso di pensioni ‘miste’, non comporterebbe la creazione di debito pensionistico implicito”.