Le Ong e i volti delle donne. Forti, motivate, competenti. È un fatto che le organizzazioni non governative che sfidano il mare vero e quello burrascoso della politica, e a volte dell'insofferenza di una certa pancia del Paese, in nome del "diritto-dovere" di salvare i migranti e strapparli ai campi libici, abbiano assunto in tanti casi il volto delle donne. Sono loro spesso che danno alle Ong voce e anima, gesta sorprendenti e inattese, suscitando reazioni opposte, ma comunque fragorose.
La 'capitana', Carola Rackete, 31enne della Bassa Sassonia, comandante della Sea Watch, che ha sfondato blocchi, urtato equilibri politici e in un caso anche una motovedetta della Guardia di finanza... Cinque lingue, una laurea in scienze nautiche e un master in conservazione ambientale con una tesi sugli albatros, dal 2011 al 2013 al timone di una nave rompighiaccio nel Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici, a 25 anni secondo ufficiale dello yatch da spedizione "Ocean Diamond". Nel 2016, dopo parecchio volontariato, è entrata nella sua vita la Sea Watch.
"Abbiamo abbattuto un muro" - ha detto la capitana in una intervista dopo il no del gip di Agrigento alla convalida dell'arresto - "quello innalzato in mare dal Decreto Sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice".
Passione e consapevolezza anche nel profilo delle portavoci della Sea Watch e di Mediterranea, Giorgia Linardi e Alessandra Sciurba, in grado di trasmettere non solo la voce, ma anche valori e motivazioni, indignazione. Si prenda la portavoce di Mediterranea, sbarcata a Lampedusa insieme ai migranti del veliero "Alex": palermitana, impegnata nel terzo settore, ricercatrice universitaria in materie - manco a dirlo - che hanno a che fare con i diritti e la loro tutela. Un carattere e una convinzione di ferro che sembrano rendere più possente un fisico minuto. Alle spalle anche un dottorato presso l'università di Palermo con una tesi sui centri di detenzione amministrativa e sulle zone di concentramento dei migranti.
Da anni si occupa di migrazioni anche come attivista. Tra i suoi lavori, i video-documentari su "Diritti respinti. Storie di asilo negato tra l'Italia e la Grecia", e "Malta Experience-Racconti da un'isola prigione". È autrice di libri e articoli su riviste e volumi nazionali e internazionali che trattano i temi delle migrazioni, dei confinamenti, dei diritti umani. Se si chiede chi glielo fa fare a navigare nelle acque insidiose del Mediterraneo centrale che guardano alla Libia e della tensione politica, incrina per un attimo la voce che in genere scivola sicura come una lama: "Non si può essere cinici, non ci si può voltare dall'altra parte". Per far capire meglio, Alessandra parla di Fatima, 5 mesi, e di Jasmine, 2 anni, che insieme ad altri due bambini erano tra i 59 soccorsi dalla "Alex" e portati a Lampedusa.
"Il Viminale ha detto che il gommone non aveva alcun problema: ebbene io vorrei tanto che chi dice cose del genere facesse un'esperienza con noi, ritrovasse in mare un gommone in quelle condizioni e la Guardia costiera libica pronta a portare indietro persone che erano numerate; ciascuna di loro aveva un numero addosso per essere spostate come merci. C'è chi è rimasto in un campo due anni e ha visto morire il fratello, ucciso davanti ai suoi occhi perché non aveva i soldi per pagare. Forse chi usa certi toni e certi argomenti avrebbe voluto vedere il gommone più sgonfio, magari Fatima e Jasmine in fondo al mare... Come si può essere così cinici e crudeli... calpestare la vita delle persone per fare propaganda politica...".
Giorgia Linardi, 29 anni, giurista e attivista, esperta in migrazioni e diritti umani. In una intervista spiega "in mare è un po' come stare in una bolla, ti occupi di cose molto concrete. Quando abbiamo scoperto che a terra si parlava delle nostre navi come taxi del mare, la prima reazione è stata di grande stupore". Laureata in Studi internazionali, ha conseguito un master di diritto a Ginevra, con tesi sul soccorso nel mare Mediterraneo. Nel frattempo è scoppiata la crisi libica e dopo le prime esperienze in Svizzera con le agenzie dell'Onu, il ritorno in Italia, quale consulente legale volontaria per Sea Watch a Lampedusa. Poi a bordo dell'Aquarius con il duro incarico di raccogliere le testimonianze dei migranti torturati in Libia.
La decisione di diventare portavoce della ong tedesca, spiega, è legata alla "responsabilità di testimoniare". In questi giorni, ha detto a "Elle", "ci interroghiamo molto. Tutto quest'accanimento porterà alla fine delle nostre attività. Già accade, costretti come siamo a ingaggiare ogni volta un lungo braccio di ferro sulla pelle di persone che noi guardiamo negli occhi. Le salviamo e poi dobbiamo spiegare loro che l'Europa - un continente in pace - non le vuole. Che, dopo tutto quello che hanno passato, si preferisce rimandarle indietro".
Giuseppe Marinaro