In tanti, soprattutto nella Lega, da settimane si chiedono ripetutamente e senza trovare risposta: "Perché Matteo continua a stare al Governo con questi?", ovvero con il M5s. E certo non si accontentano delle dichiarazioni condite di propaganda del tipo "sono un uomo di parola", visto che il leader della Lega la parola l’aveva data anche a Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, salvo poi sottoscrivere poco dopo un contratto di matrimonio con Luigi Di Maio.
Parafrasando un vecchio film: “È la politica, bellezza!", potrebbe chiosare Salvini, sicuro di essere ben compreso dai suoi vecchi alleati del centrodestra. Ma le regole della politica non aiutano a rispondere a quell’interrogativo sul perché il “Capitano" non torni davanti agli elettori. Qualcuno fino a poco tempo fa si era convinto che Salvini, forte del successo delle europee e dei sondaggi che continuano a darlo in ascesa, avrebbe presto presentato il conto a Di Maio. Finora però non è accaduto. A meno di non voler considerare un congruo corrispettivo la promozione di Lorenzo Fontana agli Affari europei e l’ingresso di un altro esponente della Lega nel Governo, qual è la neoministra per la Famiglia Alessandra Locatelli.
C’è anche la poltrona ben più pesante del prossimo commissario Ue. In questo caso però la partita non si gioca a Roma ma a Bruxelles, dove probabilmente toccherà a Giancarlo Giorgetti l’arduo compito di convincere i deputati europei a convalidare la sua eventuale candidatura per un "portafoglio economico di peso" nella nuova Commissione.
Ma comunque tutto questo non è sufficiente a spiegare perché il leader della Lega non abbia ancora rotto il patto di governo, viste le condizioni a dir poco favorevoli e i nodi invece ancora irrisolti (dall’Autonomia alla Tav, alla politica fiscale). Basti pensare che è forse la prima volta che è di fatto impossibile, in caso di crisi, organizzare una maggioranza alternativa, fosse anche per un governo tecnico. L’unica via d’uscita sarebbero le urne. Chi dice il contrario, attribuendo ad esempio al Capo dello Stato intenzioni diverse, lo fa solo per trovare una scusa plausibile.
Sergio Mattarella solo in un caso si opporrebbe, richiamando al senso di responsabilità tutte le forze politiche: le elezioni durante la sessione di bilancio perché porterebbero l’Italia all’esercizio provvisorio. Per questo si dice che la finestra elettorale si chiuderà il 20 luglio, perché è quella l’ultima data utile per votare entro settembre. E certo dopo, nonostante già si parli di “elezioni a febbraio" , la strada non sarà in discesa: nel frattempo sarà infatti entrata in vigore la riforma costituzionale che dalla prossima legislatura taglia drasticamente il numero dei parlamentari, inducendo perciò gli attuali a tenersi stretta la poltrona il più a lungo possibile. Forse allora la risposta alla domanda posta a Salvini, già all’indomani della vittoria del 26 maggio, andava e va ricercata altrove.
Gli audio registrati in quell’hotel nei pressi della piazza Rossa di Mosca, dove il leghista Gianluca Savoini si accordava con alcuni russi sul finanziamento dell’imminente campagna elettorale della Lega per "rivoluzionare" gli attuali assetti europei, lasciano intendere che per Salvini gli avversari più temibili siano quelli non visibili.
I leghisti parlano di un "complotto", ricordano la trappola preparata contro un altro (ex) vicepremier, il leader del partito di estrema destra FPÖ , Heinz-Christian Strache, che in un video diffuso a pochi giorni dalle europee (ma registrato un anno prima) confessava a una falsa miliardaria russa di voler alterare future gare d’appalto per favorire aziende del Paese di Vladimir Putin e aggirare le norme sul finanziamento ai partiti.
È questa la variabile che potrebbe aver indotto Salvini alla prudenza, ad evitare strappi, a non rompere con Di Maio e a mantenere in vita il Governo guidato da Giuseppe Conte. E i suoi alleati devono averlo capito visto che dopo settimane di silenzio accondiscendente, a seguito del tonfo elettorale e del timore di un ritorno anticipato al voto, da alcuni giorni hanno ripreso a battere i pugni sul tavolo: il fallimento del vertice sull’Autonomia, così come lo stallo sugli emendamenti del dl sicurezza, sono solo gli ultimi esempi.