L'ulivo si sposta a ridosso delle Alpi, banani e avocado al sud, vendemmie anticipate e aumenta la gradazione del vino. Il cambiamento climatico in Italia, con la tendenza al surriscaldamento, impatta anche sulla produzione agroalimentare. Lo scenario. Il 2019 si classifica fino ad ora come il secondo più caldo di sempre sul pianeta facendo registrare una temperatura media nel primo semestre, sulla superficie della terra e degli oceani, superiore di 0,95 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo.
È quanto emerge dagli ultimi dati del Noaa, il National Climatic Data Centre che li rileva dal 1880 e dai quale si evidenzia che in Europa il primo semestre è risultato essere il terzo più caldo di sempre con un'anomalia di 1,86 gradi superiore la media. Una situazione determinata da un giugno mai così caldo che ha fatto saltare tutti i record in Europa dove la temperatura è stata di 2,93 gradi superiore la media, e nel mondo dove la colonnina di mercurio è salita sulla superficie della terra e degli oceani di 0,95 gradi sopra la media, il massimo di sempre.
Anche in Italia lo scorso mese di giugno è stato molto caldo con una temperatura superiore di 3,3 gradi rispetto alla media e si classifica al secondo posto per temperatura elevata dal 1800, quando sono iniziate le rilevazioni secondo Isac Cnr. È in atto una evidente tendenza al surriscaldamento: la classifica degli anni interi più caldi lungo la Penisola negli ultimi due secoli si concentra infatti nell’ultimo periodo e comprende nell'ordine 2018, 2015, 2014 e 2003. Tendenza che, sottolinea Coldiretti, cambia la distribuzione delle coltivazioni e le loro caratteristiche: l’ulivo, tipicamente mediterraneo, in Italia si è spostato a ridosso delle Alpi mentre in Sicilia e in Calabria sono arrivate le piante di banane, avocado e di altri frutti esotici, mai viste prima lungo la Penisola. E il vino italiano con il caldo è aumentato di un grado negli ultimi 30 anni, ma si è verificato nel tempo un anticipo della vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre.
Il riscaldamento provoca anche il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto, continua la Coldiretti, mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico. Si registra peraltro una evidente tendenza alla tropicalizzazione che si manifesta con una più elevata frequenza di eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense e il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. Il ripetersi di eventi estremi sono costati all’agricoltura italiana oltre 14 miliardi di euro in un decennio tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne. L’agricoltura, conclude la Coldiretti, è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma è anche il settore più impegnato per contrastarli.