Capri è come una divinità sensuale e crudele, camaleontica e intrigante, che con la sua immaginifica alchimia dona agli innamorati una forza vitale e iridescente, luce caotica nel buio della vita. E a Capri, fin dal mondo greco, questa misteriosa energia cosmica ha reso uomini e donne, protagonisti, nel più incredibile scenario della natura, di amori liberi e sognanti. L’isola diventa così un atopos, un luogo fantastico, dove l’eterno gioco della seduzione e della vita amorosa può essere rappresentato senza i soffocanti vincoli di un mondo borghese e puritano.
Mai come qui, come ricorda lo psicologo americano James Hillman, i seguaci di Afrodite, divinità nata dalla spuma delle onde del mare, hanno ricercato e agognato una bellezza che trasgredisce ad ogni ordine etico e prescinde dalla giustizia terrena. Gli amanti a Capri inseguono il sublime, manifestazione della giustizia di Venere, senza paura, ricercando quella utopistica felicità che annulla eternamente il tempo. Questi piccoli frammenti capresi sono tutti pezzi di un fantastico insulare mosaico dell’anima dove si rappresenta la gravosa leggerezza dell’amore.
TRA INCANTO E DISINCANTO La Terra delle Sirene è un’isola dell’anima che si estende dalle verdi campagne di ulivi di Sant’Agata e Monte San Costanzo, alle leggendarie insenature di Crapolla e delle isolette dei Galli fino alle vertigini blu delle rocce di Monte Solaro dove il confine tra cielo e mare si perde. Coloro che naufragano su queste spiagge sono viaggiatori inquieti e solitari, perennemente in bilico tra l’incanto e il disincanto. L’amore sirenico ha trovato in Norman Douglas, dissacrante satiro della letteratura caprese, il più onirico aedo. Il suo sensuale canto concede l’oblio, la possibilità di cancellare il passato e il futuro e vivere la sfuggevole bellezza del presente. Ma l’amore sirenico con il suo assordante silenzio fagocita l’anima, annulla, nel continuo inseguimento della persona amata. Solo Ulisse sconfigge il canto delle Sirene anche se poi rimane otto anni sulle isole di Ogigia ed Eea, rapito dalla bellezza della ninfa Calipso e della maga Circe. Le tre sirene, Partenope nume tutelare di Napoli, Leucosia dea bianca della costiera amalfitana e la caprese Ligea suicidatasi per la vergogna, rivivranno per l’eternità nella sinuosa e magnetica bellezza della natura. L’amore sirenico non ha bisogno di parole. Monika Mann e il pescatore Antonio Spadaro si amarono in silenzio, nella profondità di uno sguardo, ascoltando il canto dei gabbiani e il rumore del mare che s’infrange sul Monacone.
IL SEGRETO DELLE MODELLE Rosina, Carmela, Graziella, Annina: sono tante le modelle capresi e anacapresi che con i loro profili simili alle divinità greche affascinarono e fecero innamorare famosi pittori, come Benjamin Vautier e John Sargent. Alla fine dell’Ottocento la modella diventò un vero e proprio mestiere; furono numerose le famiglie capresi meno abbienti che, con il loro aiuto, riuscirono a tirare avanti. Lo scrittore austriaco Wihlem Ritter von Wymental, in arte Wyl, sbarcando sull’isola nel 1875 scoprì un verità non certo onorevole per le modelle capresi.
Egli racconta che dopo che Lord Goosbery aveva sposato una poverissima ciucciara e le aveva regalato un castello in Inghilterra, tutte le altre modelle, verdi d’invidia, idearono un sottile e diabolico stratagemma. Ogni fanciulla che si era fatta disonorare da un pittore straniero, che per ovvie ragioni non poteva sposarla, lo trascinava con tanto di testimoni davanti ad un impiegato comunale complice e l’obbligava a sottoscrivere, vita natural durante, una cifra concordata come riparazione per la purezza perduta. Dopodiché la fanciulla indossava un largo e vistoso cappello e, passeggiando per il paese, veniva chiama da tutti "Lady". Ma la cosa più incredibile è che la stessa modella, con la complicità di funzionari corrotti, diventava più volte Lady, facendo firmare più documenti con relativa rendita. Dopo che le "bezzoghe" sforbiciarono questa vergogna al parroco, la chiesa locale impose a tutte le ragazze che "qualora decidessero di posare per un pittore, dovevano vestire con abiti in cui non si veda neanche un pollice di carne recitando durante la posa il rosario alla Madonna o Sant’Antonio".
LE MAREE DEL CUORE Amare paneroticamente vuol dire capire che l’amore tra gli esseri umani non ha confini, etichette o identità. A Capri qualsiasi tabù nel corso del tempo è stato travolto dai tantissimi deragliati della vita, che qui potevano vivere la propria sessualità senza paura di essere ghettizzati e giudicati. La sindrome di Tiberio, imperatore che irrealisticamente viene indicato reo di orgiastiche turpitudini, crea il mito di un’isola dove ogni fantasia sessuale, maschile e femminile, diviene realtà. Perfino il divino Marchese De Sade cade suggestionato da questa sindrome caprese e ambienta sull’isola la sua novella Il Governatore di Capri, dove i protagonisti sono tre poveri ingenui pastorelli isolani, iniziati ai più raffinati giochi erotici libertini.
Agli inizi del Novecento Capri diviene nel mondo il paradiso perduto dell’omosessualità, sia maschile che femminile, e il punto di riferimento di eccentriche avanguardie artistiche. C’è da chiedersi cosa sarebbero stati la storia e il mito di Capri senza le opere d’arte di tanti artisti omosessuali che vissero sull’isola e l’amarono profondamente. L’amore panerotico caprese è antesignano di quella che adesso nel linguaggio giovanile viene indicata come fluid sexuality, sessualità fluida, senza imposizioni di ruoli e identità, libera, che segue più le maree del cuore che della mente.
AMORE E CUCINA In origine fu la "purchiacchella", erba miracolosa al tempo di Tiberio, a dare vitalità ai sensi assopiti. Questa rucola selvatica che nella sua etimologia cela maliziosamente un riferimento all’organo sessuale femminile (in greco significa "piccolo antro di fuoco") fu coltivata per la prima volta a Villa Jovis da Serpullo, agronomo dell’imperatore, in serre mobili montate su ruote. Edwin Cerio ci ricorda che Tiberio era rigorosamente vegetariano e rinvigoriva la sua senile libido con questa rucola caprese che ancora cresce selvatica nei ruderi della Villa.
Tanti amori capresi sono nati anche grazie alla complicità del cibo e del vino isolano. Pablo Neruda paragona nelle sue poesie la sinuosità del corpo e il profumo della pelle della sua Matilde alle dolci e rassicuranti rotondità dei pomodori maturi e alle ataviche essenze del basilico o dell’aglio di omerica memoria. Anche grazie alla cucina del suo cuoco Cataldiello, ritenuto il vero inventore della torta di mandorle, Maksim Gor’kij riesce poi a placare la gelosia della sua Maria Andreeva. E alla fine della sua vita Norman Douglas, anche per l’insistenza di Graham Greene che abitava ad Anacapri a Villa Il Rosaio, raccoglie con molta ironia e autoironia nel libro Venere in Cucina: manuale della cucina erotica tutte le ricette greche, romane e capresi che accendono, anche se per pochissimo, un eros assopito e distratto.
L’ISOLA DEI CORNUTI Per secoli a Capri l’undici novembre si festeggiava la festa dei Cornuti. Era un rito pagano che trova le sue radici nei baccanali e nei riti dionisiaci. In quella data tutti i mariti che avevano la certezza di essere cornuti si riunivano, e tra balli, canti e ricche bevute di vino, andavano sotto i balconi delle consorti, sbeffeggiandole per la loro infedeltà. I mariti traditi abbellivano la loro fronte con corna di varie dimensioni, tipo e colore. I più ricchi avevano corna dipinte d’oro, i borghesi corna rosse e i contadini e i pescatori corna al naturale.
Lo scrittore russo Leonid Andreev, che soggiornò a Capri ospite di Gor’kij, fu molto divertito e colpito da questa festa: riteneva gli isolani un popolo molto civile, autoironico, dove i mariti traditi preferivano essere "cornuti e contenti" piuttosto come nel resto del Sud, violenti e vendicativi. Così nel 1915 scrisse una novella, I cornuti, che narra le vicende della frivola Rosina e del povero Tapie, un ricco e stimato caprese. La festa dei Cornuti fu festeggiata a Capri fino all’avvento del Fascismo che la proibì ritenendola poco dignitosa per il guerriero e virile uomo italico.
INCUBI AMOROS È Goffredo Parise a ricordarci che a Capri il confine tra la bellezza, l’eros e la morte è sottilissimo e impercettibile. L’isola ha una profonda valenza esoterica che si cela in tutta la sua natura. I vecchi isolani sanno che il vento del Sud, chiamato "bafuogno", trascina gli amori più consolidati in profondi precipizi, scatenando una violenta, recondita e omicida gelosia. Lo scrittore tedesco Hans Heinz Ewers ambienta a Capri novelle gotiche horror con tanto di vampiri e incubi amorosi sanguinari all’ombra dei Faraglioni.
D’altra parte molti ritengono che la stessa autrice di Frankenstein, Mary Shelley, fu ispirata per il suo capolavoro dalla bipolare bellezza della Capri invernale e dalla vita del Principe di Sansevero. Le nudità efebiche della Marchesa Casati Stampa e di Romaine Brooks, icone del dandismo femminile, si trasformarono in immortali opere d’arte dalle tonalità grigio-nere. Anche Alberto Moravia nel suo 1934 fa capire che la pulsione di morte sull’isola azzurra si può trasformare in una particolare libido maschile che è contemporaneamente attratta sia dal lato solare che da quello oscuro e distruttivo delle fantasie erotiche femminili.
EROS E RIVOLUZIONE Quando Lenin partì da Capri fu perentorio rivolgendosi a Gor’kij: "Devi partire. L’aria di Capri non s’addice ad un rivoluzionario". Ma "l’amaro" Gor’kij trovava dolce abbinare il sogno rivoluzionario alle gocce di felicità che ogni giorno anelava dalle labbra della sua Maria. Nel 1952 il poeta Pablo Neruda vive un inverno d’amore sull’isola, dove ritrova quella gioia e innocenza che si vive quando si è bambini. Con i suoi travestimenti, con le favole che dedica a Matilde e i piccoli e delicati regali di carta ritrova un’innocenza perduta, e crea le poesie d’amore più belle che siano mai scritte a Capri, I versi del Capitano. Qui lo sguardo triste di Asjia Lacis, regista rivoluzionaria lettone, diventerà per il filosofo tedesco Walter Benjamin il radioso viatico esistenziale e il poeta futurista Majakovskij, che firmava le lettere d’amore a Lili Brik con il disegno di un cucciolo, teneramente pensava che Capri fosse una cuffia rosa che cinge il capo della sua amata.
L’AMORE 2.0 Nell’età dell’oro della Dolce Vita le dichiarazioni d’amore che si suggellavano in un bacio o in un triste addio avevano la loro importanza. Molti ricordano la storia di un ricco americano che commissionò a un portiere di un albergo storico l’incarico di mandare nella camera della sua amata duecento rose rosse e fece cantare a tre chitarristi capresi le più belle canzone napoletane d’amore sotto la sua finestra. Adesso a Capri l’amore naviga con il suo virtuale e incessante narcisismo su WhatsApp e Facebook. Migliaia di frasi d’amore e "selfiecaprikiss" ogni giorno salpano per perdersi nella liquida, labirintica immensità della rete. Sarebbe bello che tutti questi baci capresi si perdessero nello spazio per diventare polvere di stelle e formare, granello dopo granello, in una lontana galassia, un nuova "isola dei baci", di futuristica memoria, dove tutti gli uomini, di ogni religione, razza e identità sessuale potessero baciarsi liberi, amarsi e vivere in pace.
di Renato Esposito