Il recente accordo siglato tra l'Unione Europea e il Mercosur legittima la falsificazione di oltre il 93% dei prodotti agroalimentari Made in Italy in Sud America. A lanciare l’allarme è stata la Coldiretti secondo la quale la diffusione di questi prodotti falsificati nel mondo provoca danni per 100 miliardi di euro ed ha registrato un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio.
Uno dei casi più noti è quello del formaggio italiano più imitato all'estero: il parmigiano. Da una parte gli originali "Parmigiano Reggiano" e "Grana Padano" tutelati in Europa con la dicitura Dop (Denominazione di Origine Protetta), dall'altra il vasto panorama delle copie come il caso del "parmesano" prodotto in Uruguay che presenta tempi di maturazione minori dovuti agli alti costi di produzione.
Una tradizione, questa, che affonda le sue radici nei secoli scorsi con l’emigrazione delle famiglie italiane che portarono nel nuovo paese le loro abitudini alimentari. Oggi però i tempi sono cambiati e, sempre secondo le denunce della Coldiretti, il prezzo del Grana Padano è ai minimi storici da 8 anni.
Il perché è semplice da capire: nel mondo ci sono troppi tarocchi, il discorso riguarda tutto il Made in Italy (2 prodotti su 3 sono falsi) ma vale ancora di più per il celebre formaggio emiliano. Cosa succederà dunque con l’accordo di libero commercio tra il blocco europeo e quello sudamericano?
L’intesa garantisce tutela a circa 355 prodotti a indicazione geografica europei, tra cui 57 Dop e Igp (Indicazione geografica protetta) italiane. Grana Padano e Parmigiano Reggiano saranno protetti, ma sarà riconosciuto a un gruppo ristretto di aziende dei paesi del Mercosur, elencate in un allegato dell’accordo, di poter continuare a usare denominazioni locali.
Inoltre saranno vietate le evocazioni ingannevoli che suggeriscono una falsa origine geografica come bandiere, monumenti e paesaggi tipici. Che fine farà dunque il termine parmesano? Sarà destinato a scomparire? Tra i produttori di origine italiana presenti nel dipartimento di Colonia si respira un clima abbastanza sereno. "Più che un problema, per noi questa potrebbe essere un’opportunità" afferma Nelia Brassetti, titolare di un’azienda familiare di Colonia Valdense con oltre trent’anni di attività. "Un ipotetico cambio di nome sarebbe un grande interrogativo. Servirà un lavoro collettivo dei tanti attori coinvolti nel processo, tanto i produttori come le associazioni di categoria e il governo. Si dovrà scegliere insieme. Ogni cambiamento implica inevitabilmente un periodo di adattamento con qualche difficoltà ma io sono ottimista. Con una buona campagna informativa verso i consumatori si risolverà tutto".
La Brassetti ci tiene a sottolineare un punto: "Noi non abbiamo mai utilizzato la parola parmigiano e non abbiamo mai usato la bandiera italiana o altri tipi di richiami ingannevoli. Ci concentriamo esclusivamente sul mercato interno e non esportiamo, di conseguenza le condizioni sono molto diverse".
L'idea di fondo che sta alla base della protezione dei marchi di origine protetta trova favorevole l’imprenditrice uruguaiana: "Credo che sia giusto difendere i prodotti locali e l’Uruguay dovrebbe prendere imitare le politiche europee e richiedere ad esempio la tutela del suo Queso Colonia. Credo che sia giusto porre delle regolamentazioni nel mercato internazionale".
Le cifre del parmesano in Uruguay sono comunque abbastanza modeste nel mercato locale: utilizza circa il 10% di tutto il latte che si lavora nel paese secondo i dati trasmessi a Gente d’Italia da Aupyl (Associazione Uruguaiana delle Piccole e Medie Imprese Lattiere) attraverso il portavoce Alvaro Sepergo. Anche lui insiste su un concetto: "Dobbiamo prepararci perché questa sarà un’opportunità per migliorarci e per differenziare i nostri prodotti. L’Uruguay deve agire con una certa urgenza dato che ha dei formaggi di qualità nel contesto sudamericano che andrebbero tutelati. In ogni caso, prima dell’entrata in vigore dell’accordo ci sarà un processo di transizione molto lungo e aspettiamo di
conoscere tutte le clausole".
"Forse" - conclude il rappresentante di Aupyl - "anziché usare i nomi delle zone europee dalle quali provenivano i nostri immigrati, in futuro arriveremo a vendere i nostri formaggi con il nome dei nostri dipartimenti perché, nonostante un modello replicato, qui si sono sviluppati prodotti con caratteristiche diverse tanto per il clima o per la tecnologia usate nella preparazione".
Matteo Forciniti