Sui taccuini degli allibratori, a proposito di elezioni anticipate, la data cerchiata in rosso è il 6 agosto prossimo. Dovrebbe essere l’ora X della deflagrazione del Governo giallo-blu. Perché quel giorno? Secondo il calendario dei lavori del Senato è il momento nel quale dovrebbe approdare in Aula per l’approvazione definitiva il Decreto Sicurezza bis, fiore all’occhiello della politica salviniana sul contrasto all’immigrazione clandestina e sulla sicurezza. Il voto parlamentare cade in una fase non propria idilliaca dei rapporti tra Lega e Cinque Stelle. In realtà, a non essere ottimale è soprattutto la situazione interna al movimento grillino. La scoppola rimediata con la decisione del premier Giuseppe Conte di dare il via libera ai lavori per la costruzione del tratto dell’alta velocità ferroviaria Lione e Torino ha mandato in tilt il "pensiero debole" del grillismo che aveva fatto della battaglia No Tav la propria bandiera identitaria. La rabbia dei singoli parlamentari pentastellati è stata tale da dare luogo, giorni fa, a una singolare protesta concretizzatasi con l’abbandono dell’Aula del Senato nell’istante in cui il Presidente del Consiglio ha preso la parola per riferire sul caso dei presunti finanziamenti russi alla Lega. Un episodio senza precedenti che, tuttavia, non ha esaurito il malessere interno al Movimento.
Al contrario, ormai sempre più deputati e senatori pentastellati si domandano a voce alta che senso abbia proseguire un’esperienza di governo che li penalizzi tanto pesantemente. Ora, accade che a Palazzo Madama i numeri non siano stati mai larghi per i giallo-blu. La cacciata dal Movimento di alcuni senatori ha assottigliato la soglia di sicurezza per la maggioranza assoluta in caso di voto di fiducia. Fino a prima che scoppiasse il caso del sì alla Tav la coalizione del "Contratto di Governo" poteva contare su un margine di tre senatori in più rispetto ai 161 richiesti per raggiungere la maggioranza assoluta, 106 Cinque Stelle e 58 per la Lega. Dopo la bufera di questi giorni in casa grillina alla quale si collega la minaccia del ritorno in campo del capo dei movimentisti, Alessandro Di Battista, è fin troppo facile pronosticare che il Governo giallo-blu stia sotto soglia, almeno in Senato. Cosa accadrà quando ci sarà da dare il definitivo via libera al Decreto Sicurezza? Sarà la fronda grillina dissidente a dare il colpo di grazia all’Esecutivo Conte?
La situazione è complicata. Particolarmente se si parte dal punto di vista di chi (Salvini e Di Maio) intenda proseguire l’esperienza di governo ad ogni costo, almeno in questa fase della legislatura. Una possibilità è che il capo leghista accetti di andare in aula il prossimo 6 agosto a cercare i voti necessari per far passare il provvedimento. In tal caso, potrebbe ricevere il soccorso dei voti di una parte del gruppo misto che si è andato affollando di senatori fuoriusciti dai partiti e desiderosi esclusivamente di terminare il mandato a scadenza naturale di legislatura. La condizione però sarebbe quella di non porre la fiducia. Così congegnata l’operazione, potrebbero arrivare anche i voti da Forza Italia e Fratelli d’Italia, favorevoli a sostenere il Decreto Sicurezza. Ma non sarebbe questa la sola strada per portare a casa il risultato. Matteo Salvini potrebbe cogliere il momento favorevole, determinato dall’estrema confusione generatasi tra i Cinque Stelle, per operare un cambio in corsa di maggioranza. Il capo leghista potrebbe costringere l’alleato Cinque Stelle a porre comunque la fiducia sul provvedimento e, contestualmente, chiamare Giorgia Meloni a votarla per senso di responsabilità verso un’iniziativa necessaria al bene del Paese. Se ciò accadesse il premier Conte, preso atto del cambio di maggioranza, dovrebbe trarne le conseguenze e recarsi al Quirinale per dichiarare finita l’avventura Giallo-blu, ma con la certezza di ricevere dal presidente della Repubblica il reincarico per tentare un Conte-bis sostenuto da una diversa maggioranza parlamentare.
Se n’è parlato molto negli ultimi tempi, dando però per scontato che tale tentativo dovesse necessariamente compiersi guardando a sinistra. Non si è dato giusto peso alla possibilità che la crisi si potesse risolvere a destra con l’invito al partito della Meloni a entrare nel nuovo Esecutivo. Si dirà, i grillini mai accetterebbero di stare insieme agli ex-fascisti. Può darsi, ma si era detto anche che mai avrebbero permesso che si facesse la Tav Torino-Lione, il Tap a Melendugno l’Ilva a Taranto e una lunga serie di rospi serviti su un piatto d’argento. Eppure, quei rospi li hanno ingoiati. Quindi, mai dire mai. Soprattutto se, in cambio, riceveranno da Salvini la rassicurazione che la coalizione riformata proseguirà dritta fino alla scadenza naturale della legislatura. Non ci sono solo parlamentari straccioni tra i grillini che non vogliono andare a casa prima di avere maturato alcuni diritti individuali. C’è una questione di classe dirigente che non vuole uscire sconfitta da questa fase storica. È ovvio che non tutti i grillini sarebbero disponibili a sottoscrivere un patto con compagni di strada giudicati infrequentabili. Allora si propizierebbe quell’implosione del Movimento data per scontata tranne che per l’ora esatta in cui essa avverrà.
Salvini, per sollecitare il suo alleato/avversario Luigi Di Maio a compiere il passo definitivo verso la creazione di un coalizione tricolore giallo-nera-blu, potrebbe calare l’asso vincente: il definitivo addio all’alleanza con Forza Italia. Di Maio al posto di Berlusconi? Perché stupirsi? Ciò che sfugge ai più è il fatto che Matteo Salvini stia lavorando a un cambiamento profondo della società che a sua volta produrrebbe una mutazione radicale dei presupposti valoriali e ideologici di riferimento nel lato dell’offerta politica. Quei poveretti senza speranza del Partito Democratico si affannano a dare la caccia ai fantomatici rubli di Mosca che la Lega non ha mai preso e non si sono accorti invece del prezioso carico che dal Cremlino è stato recapitato direttamente all’indirizzo di Salvini. Si tratta di tutti i discorsi di Vladimir Putin, in particolare gli ultimi sulla fine del liberalismo e sulla crisi della civiltà occidentale. Quella sì che è roba che scotta, altro che i barili di petrolio riempiti da Savoini e soci.
CRISTOFARO SOLA