Questa volta per la tenuta dell’alleanza di Governo Lega-Cinque Stelle, la grana è seria. Il nodo sull’autonomia differenziata richiesta dalle tre Regioni del Nord: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, si è rivelato un ostacolo complicato da scavalcare. Anche per un negoziatore di mestiere come il premier Giuseppe Conte. Ciò che impedisce che si giunga a un accordo è la singolare circostanza che entrambe le parti in causa, lo Stato e le Regioni interessate, espongano argomenti validi e condivisibili a supporto delle rispettive pretese. I governatori di Lombardia e Veneto, in particolare, ne fanno una questione di efficienza per le economie dei propri territori. Liberare dai lacciuoli della burocrazia centrale un consistente numero di attività che attengono al benessere della persona e delle comunità locali non può essere considerato un obiettivo egoistico e perciò costituzionalmente censurabile. Riguardo all’aspetto finanziario, le rassicurazioni offerte da Attilio Fontana e Luca Zaia di non voler chiedere risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinate dallo Stato alla copertura dei costi per i servizi erogati nelle due Regioni dovrebbero tranquillizzare gli altri presidenti di Regione, in specie del Sud, preoccupati dalla possibilità di vedersi tagliare ulteriormente i fondi disponibili per i territori da loro amministrati. Viceversa, anche i timori espressi dalla componente grillina del Governo sul rischio di spaccare l’Italia in due meritano attenzione perché non del tutto infondati.
I governatori di Lombardia e Veneto, infatti, nel rivendicare l’attribuzione di tutte o quasi le competenze sulle materie concorrenti, secondo quanto prevede l’articolo 116 - 3c. della Costituzione, pongono le basi per la realizzazione non di un’autonomia locale resa funzionale al benessere della persona a prescindere dal suo luogo di residenza, ma prefigurano un regionalismo differenziato incompatibile con il dettato costituzionale che all’articolo 5 delinea il perimetro di sostenibilità del decentramento amministrativo entro i confini invalicabili dell’unitarietà e indivisibilità della Repubblica. La filosofia che ha ispirato i padri costituenti ruotava intorno all’idea che dovesse essere lo Stato centrale a stabilire, e di conseguenza a garantire, i livelli essenziali delle prestazioni economiche e sociali al cittadino, fondamentali per assicurare la tenuta della coesione di un Paese caratterizzato, storicamente, dalle differenti velocità di modernizzazione e di sviluppo economico e sociale delle sue aree geografiche. Il caso della richiesta attribuzione delle potestà legislative in materia di organizzazione del comparto scolastico, fortemente voluta dalla Regione Veneto, è la prova evidente di come una pur legittima domanda di efficienza possa originare una frattura valoriale all’interno del contesto statuale. Potere assumere direttamente, come chiede il governatore Zaia, i docenti per le scuole della propria regione porterà inevitabilmente conseguenze sui contenuti degli insegnamenti e delle conoscenze erogate e in generale sulla programmazione didattica, sì che nel volgere di qualche anno l’allievo maturato all’interno di una scuola del Veneto avrà conseguito un profilo educativo per nulla omogeneo con quelli conseguiti presso le altre regioni. Di là dalla valutazione se ciò sia giusto o sbagliato, di sicuro è incostituzionale.
Ora, i due governatori del Nord stanno cavalcando l’onda di consenso acquisito dal loro leader Matteo Salvini. Tuttavia, tanto a Zaia quanto a Fontana non dovrebbe sfuggire il non trascurabile particolare che quel consenso il "Capitano" l’abbia conquistato riposizionando strategicamente la Lega su una dimensione di partito nazionale. Se fosse rimasta la vecchia Lega, sindacato dei territori padani, l’odierna discussione sull’autonomia neanche sarebbe approdata, referendum o non referendum, nell’agenda di governo. Tale aspetto se non scuote le coscienze dei due governatori, probabilmente convinti dell’uso chiaramente strumentale del messaggio salviniano in chiave sovranista, certamente crea un problema al leader il quale, avendo raccolto una messe di voti anche al Centro e al Sud, deve spiegare ai suoi nuovi elettori quali vantaggi trarrebbero dallo stravolgimento radicale dell’attuale architettura istituzionale.
La domanda è: è pronto Salvini a convincere chi lo sostiene fuori del lombardo-veneto? Sarà forse per non aver maturato ancora la risposta giusta che il leader leghista appare alquanto afono nella diatriba che ha contrapposto i due governatori del Nord al presidente del Consiglio. Per quanto possa apparire bizzarro, stavolta Salvini deve sperare che il "negoziatore" Conte sappia tirare fuori dal cilindro del prestigiatore una soluzione che accontenti tutti, il duo Zaia-Fontana e gli altri governatori del centro-Sud che, dopo le recenti vittorie elettorali, non sono i tedofori del Partito Democratico ma i sodali espressi dalla coalizione del centrodestra, Lega inclusa. Ma è possibile un compromesso? Se si ha fantasia, perché no? A proposito del nodo centrale della scuola sul quale la trattativa rischia d’infrangersi, si potrebbe rompere il tabù del pubblico impiego introducendo una sorta di contrattazione di secondo livello lasciata alla giurisdizione esclusiva delle Regioni. Zaia vuole pagare di più i suoi docenti perché ha le risorse per farlo?
Ferme le condizioni contrattuali di base, uguali per l’intero territorio nazionale, non sarebbe un’eresia giuridica prevedere forme premiali o compensative, integrative dell’emolumento mensile, erogate direttamente dal livello territoriale. In tal modo si potrebbe incentivare l’efficienza del servizio senza per questo sfasciare l’impianto unitario del sistema scolastico nazionale. Se non vuole perdere capra e cavoli, Salvini deve ritrovare rapidamente la voce e riprendere il bandolo della matassa dialogando direttamente con il premier Conte alla ricerca di un compromesso accettabile. Tenersi alla larga dal confronto non lo salva e, soprattutto, regala un insperato vantaggio ad un altrimenti declinante Luigi Di Maio che può ergersi a "defensor civitatis" e protettore di quella parte d’Italia che vive fuori dalla pianura padana. Non dimentichi Salvini che, nell’attuale fase storica, l’elettorato si rappresenta piuttosto volubile.