Nell’aria si annusava un forte odore di fainà, diffuso delle spire del vento e trasportato dai cirri di fumo. Il dondolio delle navi formava un rumore costante di sbattere di alberi, drizze, scotte e moschettoni.
Gli ambulanti di frutta e verdura gridavano i prezzi di giornata.
Su una parrilla improvvisata un operaio stava preparando un asado per un gruppo di edili con la faccia intrisa di calce.
Uno strillone vendeva giornali in lingua italiana.
I carbunin dal volto segnato da strisce nere si pulivano le mani sui loro pantaloni stinti di color indaco, che un giorno avrebbero assunto il nome di blue-jeans, da bleu de Gênes.
I ragazzi attendevano che transitasse il tranvai e quindi riprendevano a giocare a calcio, una sfera di cuoio bozzuta, sgonfia e con i lacci molli. Appena la palla si allontanava dall’improvvisato terreno di gioco, segnato da pietre rubate ai cantieri, quei giovanotti correvano dietro bande rivali che fuggivano con l’agognata preda.
Ci volevano ore e lunghe trattative, talvolta, per tornarne in possesso magari in cambio di una fionda o un sigaro.
La sera, quando anche i traghettatori del Riachuelo, smettevano di fare la spola tra le due rive di quell’infimo fiumiciattolo, scolo di tutti i rifiuti della Boca, i ragazzi tornavano nelle loro case basse, a un piano, prive di luce e servizi igienici, con un rivolo davanti alla porta dove scorrevano le fogne. Ogni tanto, nelle domeniche di festa, dopo messa, ringraziata la Madonna della Guardia, in qualche slargo polveroso di questo suburbio urbano diversi gruppi organizzati praticavano quello strano gioco introdotto dai marinai inglesi locos.
Quelle prime formazioni di monelli di strada si chiamavano Defensores de la Boca, Santa Rosa, la Rosales, nel nome di una corvetta naufragata.
Il River Plate nacque il 25 maggio 1901, nello stesso quartiere della Boca, dalla fusione del Santa Rosa e de La Rosales. Confuse nuvole di polvere assemblavano i contendenti che sbucavano fuori inseguendo l’unico giocatore che era riuscito col piede e tirar via la palla. I ragazzini della Boca non apprezzavano molto la disorganizzazione di quelle prime partite che si tenevano dall’altra parte dell’oceano.
Un giorno si riunirono per decidere che anche loro avrebbero avuto una squadra, una maglia, un campo, dei supporter.
Erano Esteban Baglietto; Alfredo Scarpatti; Santiago Pedro Sana e i fratelli Juan e Teodoro Farenga ai quali si aggiunse subito dopo Tomás Movio e quindi Amedeo Gelsi, nominato vice presidente. Il più anziano, si far per dire, era Juan Farenga, ventunenne.
I loro genitori non erano neppure quarantenni, a parte il padre di Alfredo Scarpatti che di anni ne teneva 44. L’unica nata in Argentina era Emilia Guarello, mamma di Scarpatti. Tutti i padri erano nati in Italia, quattro in Liguria, uno in Basilicata. Il padre di Gelsi era fiorentino, la madre Teresa Navarino era nata a Buenos Aires.
Inizialmente come punto d’incontro fu scelta la casa dei Baglietto, nativi di Varazze, al numero 1232 di Ministro Brin.
La strada era stata intitolata a Benedetto Brin (1833-1898), al momento della sua scomparsa, per rammentare una figura fondamentale per la Marina Militare italiana, ministro, ingegnere navale, ideatore dell’Arsenale militare della Spezia, progettista di 141 imbarcazioni, che ave-va facilitato l’acquisto da parte dell’Argentina, impegnata nel conflitto col Cile, delle navi da guerra San Martín, Belgrano e Garibaldi. Ma siccome in quelle strambe riunioni le urla e gli spintoni prevalevano sui discorsi, il signor Giovanni Baglietto e sua moglie Catalina Vernazza cacciarono fuori i ragazzi da quelle modeste quattro mura.
Allora la prima sede della nuova società sportiva divenne una panchina di Plaza Solís dove il club del Boca fu fondato ufficialmente il 3 aprile 1905. Tutti decisero che l’appellativo sarebbe stato xeneises per il semplice fatto che quello della Boca era un barrio quasi esclusivamente ligure. Accettarono a malincuore anche i fratelli Farenga, originari di Muro Lucano, anche se la madre, Livia Vallega, era nata nel 1861 a Finalmarina, in provincia di Savona, allora genovese.
Il loro nonno, Francisco Pablo Farenga, che era emigrato nel 1860 a Buenos Aires a 22 anni, da buon falegname costruì le prime porte di legno del campo di calcio in cui si sarebbero allenati nei fine settimana, le quattro bandierine del calcio d’angolo e le tavole per la tribunetta.
Per dare un tocco inglese Santiago Sana propose di aggiungere la parola Juniors, incoraggiati dal professore di ginnastica Patty McCarthy, che era il suo insegnante, oltre che di Baglietto e Scarpatti alla Escuela Superior de Comercio in Calle Bartolomé Mitre 1364. Altri consigliarono la denominazione Club Atletico, tanto per sentirsi importanti.
Non lo sapevano, ma quegli adolescenti stavano dando vita al club più titolato nella storia del pallone, il Boca Juniors.
Il primo vero presidente della panchina di Plaza Solís fu Esteban Baglietto, ma quando si fece sul serio lo scettro passò a Luis Cerezo poiché il ragazzo ligure era minorenne.
La prima casacca fu rosa, usata per una partita rionale; quindi la sorella dei Farenga riuscì a rammendare su una maglia bianca delle sottili strisce di tela nera che spesso si sfilacciavano, tirate via dalle unghie degli avversari. Allora si optò per una semplice maglietta celeste.
Poi per alcun partite si tornò alla maglia bianca, questa volta con righe blu. Il club giocò la sua prima gara il 21 aprile del 1905, contro il Club Mariano Moreno, vincendo 4-0 con questa formazione: Esteban Baglietto, José María Farenga, Santiago Sana, Vicente Oñate, Guillermo Tyler, Luis De Harenne, Alfredo Scarpatti, Pedro Moltedo, Amadeo Gelsi, Alberto Tallent e Juan Antonio Farenga. Proprio Juan Farenga, il capitano, fece una doppietta; le altre reti le segnarono José Farenga e Santiago Sana. Baglietto era portiere, fondatore e presidente.
Da quell’anno i giovani del Boca si iscrissero alla Liga de Villa Lobos, l’anno dopo alla Liga Central, vincendo alla fine il titolo. Nel 1907 alla Albion League partecipando anche al torneo organizzato dall'Associazione Porteña, in cui giocò l’Universal di Montevideo.
Contro gli uruguaiani, l' 8 dicembre del 1907, perdendo 0-1, i xeneises giocarono quella che viene considerata la prima partita internazionale.
Un giorno del 1907, dovendo scontrarsi con l’Almagro, che sfoggiava una divisa degli stessi colori, i ragazzi del Boca si misero in giro nel barrio genovese a cercare una casacca giusta. Anche in questo caso i giocatori, col loro carattere burbero e ostico da liguri di mare, non giunsero ad una scelta condivisa.
Allora Juan Rafael Brichetto, addetto al ponte sul Riachuelo, incaricato di far entrare i vapori in darsena, il quale l’anno prima era stato presidente e che lo sarà di nuovo nel periodo 1910-13, decise che avrebbero giocato con i colori della prima bandiera di nave che avrebbe attraccato al porto. Si misero con la punta del naso a guardare la fumosa aria calda del rio sperando che giungesse un tricolore ma, invece, non si presentò alcuna nave.
Il giorno seguente Brichetto, dall’alto del ponte del Riachiulo, segnalò agli amici che stava arrivando un cargo sbuffante e ansimante, contento di giungere a destinazione dopo la lunga traversata atlantica: era la Drottling Sophia, la Regina Sophia. I ragazzi che stavano sulle rive di questo fiume lercio videro comparire il barco svedese con il vessillo azzurro e la croce gialla. Andarono in campo con quei colori. La banda gialla era una riga diagonale che scendeva da sinistra a destra, cucita a mano. Poi nel 1913 si optò per una riga orizzontale nel mezzo della divisa e così restò per sempre.
Dopo le partite, i giocatori e i tifosi si accalcavano nelle bettole della fugazza, della fainà e del pesce fritto dove si vendeva il giornale "O Balilla" in genove- se e si incontravano gli uomini delle Confraternite dedicate alla Madonne delle pievi liguri.

FINE PRIMA PARTE

Marco Ferrari