Gente d'Italia

305 popoli e 900mila persone rischiano di scomparire per i roghi in Amazzonia

Dal 1970 a oggi sono andati persi circa 800.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica. Si tratta di circa un quarto dei suoi 4 milioni di chilometri quadrati originali. Territori che negli anni sono stati destinati all’agricoltura, alla raccolta del legno e alle miniere di un'estensione pari a quella della Turchia. Nello stesso periodo, spiega l’Economist, la temperatura media della Terra è salita di 0,6 gradi centigradi.

La singolare vastità di questo territorio consente infatti di ripulire l’atmosfera dalla presenza di Co2 in quantità non raggiungibili da nessuna altra foresta del pianeta. Bastano forse questi dati per capire l’importanza che l’Amazzonia ha non solo per il Brasile, ma per il mondo intero. E non è un caso se al G7 di Biarritz, cittadina a sud-ovest della Francia il tema degli incendi che stanno colpendo l’Amazzonia è stato al centro delle discussioni. Indiziato numero uno è il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, accusato da molti di aver ripreso lo sfruttamento massivo dei territori per favorire l’agrobusiness.

Ma perché l’Amazzonia è così importante? Ci sono almeno due ecosistemi a rischio in Brasile. Quello della foresta. E quello delle popolazioni umane indigene che tuttora ci vivono. "Dall'inizio dell'anno al 20 agosto il numero di incendi è aumentato del 145% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Stiamo parlando di una situazione oramai fuori controllo". Martina Borghi, della Campagna foreste di Greenpeace Italia, cita i dati dell'Istituto nazionale di ricerche spaziali brasiliano Inpe per descrivere la situazione in Amazzonia. "L'Amazzonia ospita il 10% di tutte le specie animali e vegetali della terra. E 24 milioni di persone, tra cui quelle di 180 gruppi indigeni diversi. Gli incendi di queste settimane stanno divorando la foresta. Questo avrà un grosso impatto sul clima di tutto il mondo", spiega. Il motivo è che l'estensione stessa della foresta garantisce all'intero pianeta di stoccare una notevole quantità di Co2. Meno estesa sarà la foresta, meno Co2 il nostro pianeta potrà assorbire: "Non è un problema solo brasiliano, ma internazionale. L'aumento degli incendi aumenta anche l'emissione di gas a effetto serra. La deforestazione favorisce l'aumento delle temperature globali e il rischio di eventi meteorologici estremi. Non solo in America, ma anche in Europa".

Una riduzione sostanziale della foresta Amazzonica metterebbe in discussione gli obiettivi degli accordi di Parigi, e la possibilità di limitare a 1,5 gradi centigradi l'aumento delle temperature globali, spiega Borghi. Meno estesa sarà la foresta, minore sarà la sua capacità di generare piogge, e di conseguenza sempre più lungo diventerà il periodo secco, che oggi va da giugno a novembre. Ed è proprio nel periodo secco che avvengono questi incendi: "Alla lunga tutto verrebbe messo a rischio. E' in gioco la sopravvivenza stessa della foresta", che potrebbe giungere ad un punto di non ritorno della sua contrazione, "ma diminuendo le piogge a rischio ci sono gli stessi cicli agricoli". Quelli che oggi si vorrebbero intensificare aumentando le superfici coltivabili. Gli incendi di questo periodo infatti spesso vengono appiccati da contadini che vogliono aumentare l'estensione dei terreni, spesso coltivati a soia. Prima si abbattono gli alberi dai legni più pregiati, quelli dal legno più richiesto dal mercato. Poi si appicca il fuoco.

"Bolsonaro ha una posizione anti ambientalista. Ha fatto dichiarazioni piuttosto dirette sul suo appoggio a quella che in Brasile chiamano la Bancada Ruralista", il fronte parlamentare che difende gli interessi dei proprietari terrieri. "Questo governo è il vostro", disse lo scorso luglio, rivolto ai parlamentari. "Il giorno successivo gli incendi sono aumentati del 300%. In Brasile l'hanno chiamata 'la giornata del fuoco’. Da quando è in carica, il presidente non ha annunciato nulla in difesa dell'Amazzonia. Quello che vediamo oggi è solo una conseguenza delle sue politiche", conclude Borghi.

In Amazzonia vivono circa un milione di persone. E la foresta è il più grande territorio al mondo dove vivono popolazioni, molte delle quali non sono mai entrate in contatto col mondo 'esterno'. "Nonostante molti continuino a pensarla come un'immensa terra remota e vergine, in realtà di 'selvaggio' l'Amazzonia ha ben poco. È la terra ancestrale di oltre 1 milione di indiani, che da secoli la chiamano 'casa' e che, generazione dopo generazione, hanno contribuito a plasmarla e ad alimentare la sua grande biodiversita’", spiega all'AGI Francesca Casella, direttrice di Survival Italia, associazione che dal 1969 si occupa dei diritti delle tribù indigene. I roghi di queste settimane in Amazzonia stanno minacciando gli abitanti di 690 territori indigeni. "In Brasile ci sono 305 popoli, 900.000 persone. Il popolo più numeroso, i Guarani, è composto da 51.000 persone.

Gli Yanomami, che invece vivono nel territorio più vasto, sono 19.000 persone per 9.4 milioni di ettari", circa 10 milioni di campi da calcio. Il 98% dei territori indigeni riconosciuti come tali si trova in Amazzonia, e molti dei popoli amazzonici contano meno di 1.000 persone: "Ad esempio gli Awà, che sono 360, gli Akuntsu, 4. Ma c’è anche quello che è stato chiamato 'L'ultimo della sua tribu'', 1 persona di una tribù sconosciuta, che vive isolata in un angolo di foresta, circondato dal bestiame degli allevatori e dalle piantagioni di soia nello stato brasiliano della Rondonia, una delle più violente del Brasile". In Brasile inoltre vive la più alta concentrazione di popoli con cui nessun uomo del mondo esterno è mai entrato in contatto.

Il Funai, la fondazione nazionale brasiliana dell'Indio, stima che siano circa 80: "Sono i popoli più vulnerabili del pianeta, intere popolazioni che rischiano di essere spazzate via dalle violenze di esterni, che le derubano di terre e risorse, e da malattie", dato che per questi popoli sono ancora mortali malattie come l'influenza, o il morbillo. Questo patrimonio di diversità umana oggi sembra essere messo a rischio. E per Casella il presidente Jair Bolsonaro sta contribuendo a rendere la situazione ancora più critica: "Bolsonaro ha dichiarato una vera e propria guerra ai popoli indigeni del paese. Ha detto che 'gli indiani puzzano, non sono istruiti e non parlano la nostra lingua' e che il 'riconoscimento delle terre indigene è un ostacolo all'agro-business'".

Un attacco alle popolazioni locali che, argomenta Casella, non si vedeva da 50 anni: "Mentre l'Amazzonia viene distrutta per ricavarne ricchezza, i diritti degli indigeni, faticosamente consolidati in 50 anni di battaglie, vengono calpestati o cancellati impunemente". Bolsonaro, conclude la direttrice di Survival, "sta cercando di promuovere la loro assimilazione forzata per fare spazio all'agrobusiness; i suoi discorsi razzisti istigano invasori e sicari all'odio e alla violenza nei loro confronti; e facilitando il furto il furto delle terre indigene sta anche gettando le basi per la distruzione dell'ambiente come dimostrano drammaticamente gli incedi di queste settimane".

di ARCANGELO ROCIOLA

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