La nuova maggioranza parlamentare ha di fatto avviato una ristrutturazione del quadro politico il cui esito, come dimostra la scissione renziana, resta incerto. Proporzionale o maggioritaria che sarà la legge elettorale, non è pensabile che il centrodestra resti com’è oggi: diviso, lacerato e col suo partito più grande che, invece di essere forza inclusiva e aggregante di un largo blocco sociale, è percorso da pulsioni estremistiche che lo hanno isolato in Europa e fatto finire all’opposizione in Italia. Un delirio di onnipotenza trasformato in un capolavoro d’irrilevanza.

Salvini si rassegni: se vorrà tornare al governo e durare, il centrodestra dovrà ritrovare le ragioni della sua unità. Ma questo potrà essere fatto solo nella chiarezza: bandendo ogni ambiguità, vietando qualsiasi incertezza, rinnegando qualsivoglia tentazione egemonica da un lato e di doppi forni o maggioranze di riserva dall’altro. Ognuno dei contraenti di questo rinnovato patto politico dovrà prendere impegni pubblici chiari e netti, archiviando la stagione nefasta in cui si viene meno alla parola data. Troppe volte in questi ultimi due anni gli elettori sono stati traditi; troppe volte si è fatto il contrario di ciò che si è detto; troppe volte si è trescato con l’avversario.

La responsabilità di promuovere questa nuova alleanza non può che essere del partito più grande. Salvini deve decidere se restare solo il leader della Lega - frastornato e ripetitivo come nelle ultime settimane - oppure assumere la guida di un processo aggregativo più ambizioso, che punti ad allargare il campo del centrodestra non per annessioni più o meno forzate, ma per condivisioni ragionate e convinte su un nuovo progetto al tempo stesso nazionale, liberale, riformatore e sociale, alternativo alla sinistra che si profila all’orizzonte.

Se il capo leghista avrà l’umiltà di rinunciare ai suoi eccessi, al gioco dell’io contro tutti, agli estremismi puerili, alle ambiguità su euro e sinistre politiche di debito e spesa pubblica, allora potrà rinascere un centrodestra vivo e competitivo. Diversamente, i suoi tanti voti rischiano di restare ibernati in un limbo solipsistico. Magari bello da vedere, come la folla sul pratone di Pontida, ma politicamente inconcludente. Occorre tornare ai fondamentali. La destra ha sempre coltivato la doppia critica da un lato alla massificazione, dall’altro alle élite tecnocratiche, finanziarie e intellettuali.

È il riflesso della sua doppia anima, aristocratica e popolare. Se questi due piani si dividono e si isolano la destra perde e la sua anima popolare muta, diventando centrismo o indistinto moderatismo. Un rischio che va assolutamente scongiurato con una nuova alleanza tra popolari e sovranisti. Si riparta dunque dal concreto: tasse, presidenzialismo, riforma della spesa pubblica, sicurezza, giustizia giusta, lotta all’immigrazione clandestina sono solo alcuni dei temi che uniscono un vasto blocco sociale di produttori che attende di essere rappresentato. Solo così il centrodestra potrà smettere di essere quell’inguardabile corazzata Potemkin proiettata in questi anni.

VINCENZO NARDIELLO