Sembra esserci un non detto sul futuro del 5G. Pochi giorni fa, a Milano, è stato mostrato il test di un intervento chirurgico a distanza eseguito attraverso una rete 5G. Bene, benissimo. Rivoluzione è una parola abusata, ma forse in questo caso la si può scomodare: il 5G cambierà la nostra vita. Qualche giorno prima, però, a Roma un grande esperto di telecomunicazioni come Antonio Sassano, presidente della fondazione Bordoni, a un convegno organizzato da I-Com ha mostrato una slide. Volete sapere qual è la differenza tra il 4G e il 5G? Immaginate che da una parte c’è un palo della luce, dall’altra un fulmine. Il fulmine è il 5G. Il palo della luce è sempre lì. Il fulmine prima non esisteva, dura pochi secondi, crea dei collegamenti nuovi. E cioè, fuor di metafora, il 5G rappresenta una specie di rivoluzione copernicana delle architetture di rete delle telecomunicazioni: la rete diventa subalterna rispetto ai servizi.
Tecnicamente si passa dalla rete definita dall’hardware (hardware-defined network) alla rete definita dal software (software-defined network). Il che significa che cambia anche il modo in cui si garantisce la sicurezza dai cyber-attacchi: dalla sicurezza dei device si deve passare a quella dei servizi. Servizi più sosfisticati sono potenzialmente anche più vulnerabili. La certificazione dei singoli apparati è solo una parte della soluzione, a occhio la meno importante. E anche la nazionalità dei device (cinese o meno) è solo una faccia della luna. Gli algoritmi di intelligenza artificiale che monitorano le reti in cerca di anomalie (anomaly detection) possono essere oggetto di attacco essi stessi, da parte di altri algoritmi. I fulmini possono interferire con altri fulmini. Un hacker che acquisisce il controllo del software che gestisce le reti di nuova generazione può arrivare a controllarle.
In sintesi, il 5G garantisce maggiore velocità (praticamente il tempo reale), minore latenza e la capacità di supportare la connessione simultanea di molti più dispositivi. Ma questo cambia anche il modo in cui vanno difesi i software che fanno funzionare le reti, rendendo necessarie nuove competenze e professionalità. Non solo. Come dimostra il test di Milano i servizi 5G saranno molto più delicati e critici rispetto a quelli che abbiamo affidato alla rete 4G, più legati alla salute e alla sicurezza, quindi anche alla vita e alla morte delle persone. E questo costringe ad alzare barriere più alte. Siamo pronti?
Il governo italiano non sembra aver sottovalutato il problema. Il primo atto del nuovo esecutivo è stata l’esercizio del Golden Power (poteri speciali) per gli apparati di rete 5G di fornitori non europei. Ma, come detto, la sicurezza non è più legata solo a un problema di nazionalità delle aziende di apparati e infrastrutture. Nemmeno la Commissione Europea sta a guardare: il 9 ottobre ha pubblicato insieme all’Agenzia europea per la cybersecurity un report allarmante sui rischi per la sicurezza legati al 5G. Vi si legge che il nuovo standard renderà la reti più esposte ad attacchi informatici, moltiplicando i punti di ingresso e, soprattutto, che le minacce più pericolose arriveranno "da stati non europei o da attori sostenuti dallo stato". La nuova frontiera della cybersecurity sarà sempre di più quella di nuovi hacker di stato. Gli esperti di fulmini.
GIOVANNI COCCONI