Nei paradisi fiscali ci sono 142 miliardi di euro nascosti da contribuenti italiani, una cifra grande quanto l'8,1% del Prodotto interno lordo. Il mancato introito fiscale per l'Italia causato dalla fuga nei centri offshore è stato di 1,73 miliardi di euro nel 2016, cioè lo 0,11% del Pil. Mentre si accende il dibattito politico sulle misure da inserire nella manovra per contrastare l'evasione fiscale in Italia, dalla Commissione europea arriva una fotografia impietosa della ricchezza mondiale stipata nei paradisi fiscali.
Secondo l‘ultimo rapporto del Dipartimento per la Fiscalità generale e l'unione doganale diffuso venerdì 11 ottobre, l'Italia è il quarto paese nell'Unione europea per quantità di ricchezza accumulata nei centri offshore. Al primo posto c'è la Germania con 331 miliardi di euro, al secondo la Francia con 277 miliardi, al terzo il Regno Unito con 218. Segue l'Italia, appunto, con 142 miliardi di euro.
LE RICCHEZZE ITALIANE NASCOSTE Espressi in dollari, i miliardi portati dagli italiani nei centri offshore erano pari a 216,9 miliardi nel 2001, per scendere leggermente via via con gli anni. Una nuova impennata a 167,1 miliardi di dollari si è registrata nel 2013 ma l'importo è sceso nuovamente negli anni successivi fino a toccare i 163,4 miliardi di dollari nel 2015 e i 149,8 miliardi nel 2016 (che corrispondono ai 142 miliardi espressi in euro). Unica nota positiva per l'Italia è che il nostro paese si trova sotto la media europea per quanto riguarda il rapporto tra soldi nascosti nei paradisi fiscali e Prodotto interno lordo: se la media Ue è del 9,7% del Pil, per l'Italia questa percentuale scende all'8,1%.
I dati, avvertono però gli esperti della Commissione europea, sono soltanto parziali perché nei calcoli della ricchezza detenuta offshore sono considerati solo i depositi bancari e le attività di portafoglio, cioè la ricchezza liquida. Non sono compresi invece i beni immobili, le opere d'arte, i contratti di assicurazione sulla vita, i contanti e le criptovalute. Dunque, le cifre elencate nel rapporto sono soltanto delle cifre minime, il cui importo va di gran lunga aumentato. Il 25% della ricchezza finanziaria presa in considerazione dallo studio è detenuto sotto forma di depositi e il 75% sotto forma di investimenti di portafoglio.
I SOLDI NEI PARADISI FISCALI GLOBALI La ricchezza globale offshore stimata dal rapporto della Commissione europea è di 7,5 trilioni di euro, ovvero il 10,4% del Pil mondiale, una quantità che viene giudicata considerevole. I dati che emergono dal rapporto sono coerenti con le ricerche degli ultimi anni: gli 8,3 trilioni di dollari stimati dall'economista Gabriel Zucman e i 10,3 trilioni del rapporto Boston Consulting Group.
La media annuale dei soldi conservati offshore per il periodo 2001-2016 è di 4,7 trilioni di euro. Una delle conclusioni alle quali arrivano gli esperti della Commissione Ue è che gli effetti del contrasto internazionale all'evasione fiscale iniziato nel 2009 si è fatto immediatamente sentire ma gli effetti sono stati temporanei poiché la ricchezza offshore riprende a crescere negli anni tra il 2012 e il 2014, convergendo nuovamente sui valori osservati prima della crisi del 2008. Nel 2015-2016, gli anni più recenti dello studio, si segnala una nuova diminuzione che è coerente con un possibile impatto delle ultime misure per combattere l'evasione fiscale (quelle attuate dalla Ue, l'avvio del Fatca negli Usa e l'approvazione delle ultime iniziative sul modello Crs da parte del G20).
LA RICCHEZZA DEGLI EUROPEI La ricchezza offshore detenuta da residenti dell'Unione europea è stimata in 1,5 trilioni di euro nel 2016, con una media di 1,2 trilioni di euro nel periodo 2001-2016. Tra il 2005 e il 2007, la ricchezza offshore dei cittadini della Ue è aumentata in termini di dollari (da 1,6 trilioni di dollari nel 2005 a 1,9 trilioni di dollari nel 2007). La riduzione è iniziata solo con la crisi del 2008 (dall'11% del PIL nel 2007 al 7% nel 2008). La ricchezza offshore della Ue aumenta sempre dopo il 2011, per raggiungere il 10% del PIL (e il 20,5% della ricchezza totale offshore) nel 2016.
IL BOOM DELLA CINA Un'altra scoperta importante del rapporto della Commissione è che l'aumento della ricchezza globale offshore negli ultimi anni al centro dello studio (2010-2016) è guidata principalmente da paesi che non fanno parte dell'Ocse, con un contributo stimato che passa da 1,1 trilioni di dollari nel 2001 a 4,6 trilioni di dollari nel 2016. Tra le economie non Ocse, l'impennata della Cina è particolarmente forte, con un aumento di 21 volte della ricchezza offshore detenuta da residenti cinesi nel periodo considerato: da 90 miliardi di dollari nel 2001 a 1,9 trilioni di dollari nel 2016.
Nel 2016 la Cina deteneva di gran lunga la più grande quantità di ricchezza offshore, sebbene questo risultato debba essere interpretato con cautela in quanto potrebbe es sere influenzato dall'emersione di Hong Kong come importante centro per il trading di renminbi e non necessariamente per ragioni legate all'evasione fiscale. Il forte aumento della ricchezza offshore cinese è una conseguenza diretta del corrispondente aumento dei depositi detenuti a Hong Kong da residenti cinesi. L'evoluzione dello status speciale di Hong Kong nei confronti della Cina durante il periodo di studio è dunque un elemento importante. Nel 2004, Hong Kong è diventato il primo mercato finanziario a scambiare renminbi offshore, con una forte crescita del volume delle transazioni.
LE SOCIETÀ FANTASMA Un altro aspetto importante toccato dallo studio della Commissione Ue riguarda la ricchezza offshore detenuta indirettamente (soprattutto attraverso società di comodo) dai residenti nell'Unione europea. Nel 2004 era pari al 35% della loro ricchezza globale offshore; nel 2006 questa percentuale sale al 44%. È interessante notare che, la ricchezza offshore indiretta detenuta da residenti americani e cinesi è rimasta stabile dal 2004 al 2006.
I RAPPORTI DI GRANDEZZA NELLA UE Gli Stati membri con la maggiore ricchezza offshore sono, naturalmente, i più grandi dell'Unione europea. Germania, Francia, Regno Unito e Italia rappresentano oltre il 65% della cifra totale dei 28. L'ultimo anno del periodo oggetto dello studio (il 2016) mostra anche un alto grado di concentrazione tra le più grandi economie della Ue. In termini di quote del Pil, la classifica è nettamente diversa ma mostra anche una forte eterogeneità.
Le economie più grandi (principalmente Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna) sono vicine alla media UE-28. Gli Stati membri con la maggiore ricchezza offshore in termini di Pil sono invece Cipro, Malta, il Portogallo e la Grecia, che sono costantemente al di sopra della media UE-28 in ogni anno periodo di studio, con percentuali mediamente superiori al 20% del Pil. Un terzo gruppo di paesi comprende gli Stati membri con una ricchezza offshore stimata inferiore al 5% del Pil. Nel 2016 questo gruppo include Danimarca, Finlandia, Svezia e Slovacchia e, nella media del periodo considerato, Polonia, Slovenia, Romania e Lituania.
LE ENTRATE FISCALI PERSE Ma a quanto ammontano le entrate fiscali che ogni anno vanno in fumo a causa della fuga delle ricchezze nei paradisi fiscali? I calcoli mostrano una media di 46 miliardi di euro (pari allo 0,5% del Pil Ue) tra i 28 paesi dell'Unione nel periodo oggetto dello studio. La stima di 46 miliardi si riconferma anche nel 2016 ma l'impatto sul Pil della Ue scende allo 0,3%.
Lo studio sottolinea però che la lotta all'evasione continua a essere una battaglia difficile e insidiosa anche perché le nuove strategie adottate dagli evasori fiscali mostrano un aumento della capacità di acquisire partecipazioni offshore nascoste. Per esempio, la pratica crescente di doppie residenze fiscali (con investimenti effettuati per motivi di convenienza fiscale) non è monitorata dallo studio perché le statistiche internazionali non ne tengono conto. Ma su questo aspetto la Commissione Ue ha acceso da tempo un riflettore.
di ROBERTO GALULLO e ANGELO MINCUZZI