Non c’erano i cellulari, le televisioni, i fax, i computer , le reti private che trasmettevano le partite di tutto il mondo in diretta. C’era solo la radio. Era l’unico mezzo di informazione con cui ci si teneva informati. E anche il calcio trovò casa nelle onde radio: sessanta anni fa nacque "Tutto il calcio minuto per minuto", la più celebre e duratura trasmissione radiofonica italiana. Lo storico programma della Rai ha unito diverse generazioni che la domenica non aspettavano altro di poter ascoltare le voci che raccontavano ciò che accedeva sui campi di gioco. Nacque con il campionato 1959-60. La prima puntata fu strutturata con i collegamenti nei vari campi: era un freddo e gelido 10 gennaio 1960. Ideatori della trasmissione tre nomi che segneranno la storia della radio: Guglielmo Moretti, Roberto Bortoluzzi e Sergio Zavoli.
Tra i conduttori negli studi Rai di Roma, in questi sessant’anni, si sono susseguiti, dopo Roberto Bortoluzzi, Massimo De Luca, Alfredo Provenzali e Filippo Corsini, sul ponte di comando dal 2012. Mettere in fila le voci significa comporre un specie di album di famiglia del pallone italico, come le famose figurine Panini. Tante le voci che sono rimaste nella nostra mente e che scorrono con l’avanzare dell’età: la rauca poesia di Sandro Ciotti, il ritmo frenetico di Enrico Ameri, la pulizia linguistica di Riccardo Cucchi, i giochi di parole di Emanuele Dotto, lo stile pacato di Bruno Gentili. E poi Enzo Foglianese, Beppe Viola, Andrea Boscione, Piero Pasini, Everardo Dalla Noce, Livio Forma, Tonino Raffa, Giulio Delfino, Antonello Orlando fino ai radiocronisti di oggi: Francesco Repice, Giuseppe Bisantis, Massimo Barchiesi, Giovanni Scaramuzzino, Daniele Fortuna.
Insomma, la colonna sonora di tante generazioni. Adesso, se non siamo davanti alla tivù a gioire per un gol della Juventus o dell’Inter, controlliamo i risultati sullo smartphone e in tempo reale abbiamo tutto, anche più del necessario. Persino la radio passa dal nostro cellulare. Una volta le città erano attraversate da frotte di persone che passeggiavano e basta: davanti gli uomini con la radiolina e dietro le donne. Una volta lo strumento era semplicemente appiccicato all’orecchio, poi venne l’invenzione fantastica dell’auricolare, uno strumento che permetteva di rispondere alla moglie o alla fidanzata e di salutare qualcuno che si incocciava per strada. Lo stesso avveniva in casa, magari quando faceva troppo freddo o si era colpiti da una malattia: con un orecchio si tendeva l’ascolto alla radio e con l’altro si cercava di dare risposte a domande che improvvisamente interrompevano una azione di Sivori o Rivera proprio sul bello.
Ma quando nella trasmissione si insinuava un grido da stadio di sottofondo e poi si intendeva una voce gridare "Gol, gol!" tutto si fermava. Era l’annuncio che un risultato era cambiato e non c’era il Var a far aumentare l’attesa. Il più eclatante annuncio è entrato oramai nel linguaggio corrente italiano: "Clamoroso al Cibali!". Fu una locuzione del radiocronista Sandro Ciotti, lanciata via etere domenica 4 giugno 1961 durante la cronaca di Catania-Inter, giocata allo stadio Cibali, valevole per l'ultima giornata del campionato di Serie A 1960-1961. Contrariamente ai pronostici la squadra siciliana vinse 2-0 con gol di Castellazzi e Calvanese e la frase entrò comunque nel gergo calcistico italiano per indicare un risultato sorprendente.
"Tutto il calcio minuto per minuto" continua ad aver successo, nonostante i vari mezzi di comunicazione oggi esistenti. Di recente la storia della trasmissione è stata rievocata al Festival dello Sport di Trento dove con grande emozione si è riascoltata la voce registrata di Roberto Bortoluzzi, scomparso a Genova nel 2007, che per 27 anni guidò dallo studio "Tutto il calcio minuto per minuto", passando poi il testimone a Massimo De Luca: "Non avevo neppure quarant’anni e mi trovai a dover sostituire un mito" ha raccontato De Luca, il quale ha rammentato il segreto del suo successo: "Cercai di seguire sempre la frase di Candido Cannavò, grandissimo direttore de "La Gazzetta dello Sport" secondo cui "i campi danno il ritmo, lo studio l’armonia" come in una sorta di orchestra. Non è sempre stato semplice e non sono mancati anche i litigi tra diversi colleghi ma come si suol dire è il bello della diretta".
Questa scatola magica è rimasta sempre uguale a se stessa, fedele alla propria linea tutta incentrata sul fascino delle voce, sulle vibrazioni dei silenzi e sugli echi dello stadio e così continua ancora adesso a trasmettere da Radio Uno nonostante lo spezzettamento del campionato. Invece la voce che portò il calcio in televisione fu quella dal timbro deciso e austero di Nicolò Carosio (Palermo, 15 marzo 1907 – Milano, 27 settembre 1984). Lui aveva cominciato l’attività di giornalista sportivo allo stadio Alberto Picco della Spezia e per un certo periodo aveva anche indossato la casacca bianca delle giovanili. Era nato a Palermo, nel palazzo del nonno Nicolò, nell’antico quartiere arabo dei Seralcadi, figlio di un funzionario di dogana genovese e di una pianista di Malta, Josy Holland. I trasferimenti del padre lo avevano condotto nella città ligure, ma la vera folgorazione la ebbe nel 1931 durante un viaggio in Inghilterra dove ascoltò alla radio i commenti del celebre Herbert Chapman, l’allenatore inventore del "Sistema".
Dopo aver provato a studiare Medicina a Genova, laureando in giurisprudenza, impiegato alla Shell, si trasferì dalla Spezia a Venezia dove si esercitò nel retrobottega di un negozio di radiofonia di un certo Scarpa con finte dirette delle partite che, allora, venivano date registrate. Nel 1932 gli amici lo indirizzano da Emilio De Martino, giornalista sportivo, che lo segnala all’Eiar. Sottoposto a una prova da sette esaminatori viene assunto come collaboratore, anche se continua a lavorare alla Shell, sottoponendosi a lunghi trasferimenti domenicali. Prima delle radiocronache mangia solo un panino e beve un bicchier d’acqua, appena ha finito getta giù un bel bicchiere di whisky. Per curare la voce effettua gargarismi di acqua e sale. A capodanno del 1933 esordisce con la nazionale trasmettendo, per la prima volta tutti i novanta minuti, Italia-Germania. Diventa poi la voce dei fatidici mondiali del ’34 e del ’38 vinti dall’Italia e dell’Olimpiade del ’36 a Berlino.
Nonostante non avesse voluto mai prendere la tessera fascista, passò indenne il ventennio riuscendo a schivare l’uso delle parole inglesi come corner o penalty. Ciò gli valse la massima considerazione dei suoi superiori. Nel dopoguerra, a causa della concomitante cerimonia della cresima del figlio, dovette rinunciare alla trasferta di Lisbona del ’49 al seguito del Grande Torino, circostanza che gli salvò la vita. Dagli esordi sino al ’54 rimarrà fedele alla radio per passare poi alla tv, di fatto perdendosi il successo di "Tutto il calcio minuto per minuto". Prima delle partita andava negli spogliatoi per identificare uno ad uno i calciatori, ma incappa lo stesso in errori. La sua frase più nota è "Quasi gol" quando confondeva l’esito finale di un tiro. Era lo stesso amato dal pubblico per l’originalità delle espressioni, la sua fantasia e l’inflessibile tono anglosassone.
Ai Mondiali del ’70 inveì contro un guardalinee etiope, reo di aver annullato un gol di Rivera, facendo scoppiare un caso diplomatico. Licenziato dalla Rai avviò una causa legale che si concluse solo nel 1981. Allora varcò simbolicamente la soglia di Viale Mazzini, ma voltò le spalle e se ne andò per sempre sul viale del tramonto. Morì il 27 settembre 1984 a Milano nell’indifferenza generale. Nel centenario della nascita il Comune della Spezia gli dedicò un convegno e le Poste gli dedicarono un francobollo celebrativo.
In quell’occasione fu ritrovata una lettera che Carosio scrisse al suo amico Attilio Bellucco: "Dopo aver vissuto quasi venti anni alla Spezia, ci sono tornato tante volte, magari di passaggio, qualche volta, fermandomici. Quanti tumultuosi ricordi si sono affacciati alla mente e al cuore in queste distensive parentesi della mia vita errabonda. Quante lacrime ho versato in Via Roma, vicino ai Salesiani, detti Pretini, in Piazza Benedetto Brin, in Viale Margherita e poi lassù in Corso Cavour, dove ho vissuto felice, anche se nelle mascherate ristrettezze d’una famiglia statale e dove ebbi il diuturno conforto, l’insegnamento morale dei miei adorati Padre, Madre e Sorella, che oggi non sono più. Qualche volta sono anche tornato con Eugenia, la fedele, paziente compagna della mia vita, sino all’Alberto Picco. E le spiegai che fu proprio nell’allora sbaraccato campo degli aquilotti che presi l’avvio per la mia carriera di radiocronista sportivo".
Marco Ferrari