Ho vissuto a Santiago del Cile e i fatti di questi giorni mi hanno particolarmente colpito. Dopo l’annuncio di forti aumenti delle tariffe della metropolitana, sono scoppiate gravi proteste che hanno vandalizzato e incendiato stazioni della metro, distrutto auto, bus e negozi. I Carabineros hanno risposto con cariche e lacrimogeni. La situazione è sfuggita di mano in un vortice di violenza. Si contano almeno 10 morti in diversi incendi, avvenuti durante i saccheggi di supermercati. Il presidente Sebastian Piñera ha dichiarato lo stato d’emergenza, per la prima volta dai tempi di Pinochet. L’articolo 42 della Costituzione stabilisce che lo stato d’emergenza possa essere applicato solo a zone specifiche per la durata massima di 15 giorni, prorogabile per altri 15. Le zone ricadono sotto la giurisdizione militare di un "Capo della Difesa Nazionale" designato dal presidente, che può ristringere le libertà di riunione e movimento.
Piñera ha designato per la provincia di Santiago il generale di divisione Javier Iturriaga del Campo, ex sottocapo di Stato maggiore dell’Esercito e ufficiale dei reparti speciali. Iturriaga si è mostrato molto cauto nell’impiegare i poteri eccezionali, ha assicurato di voler restituire il potere alle autorità civili il prima possibile. Analoghi incarichi conferiti al contrammiraglio Carlos Huber per la provincia di Concepcion e al contrammiraglio Andrés De la Maza per quella di Valparaiso. Entrambi, come Iturriaga a Santiago, hanno imposto il coprifuoco notturno. Si sono tuttavia verificati abusi da parte delle truppe coinvolte, non addestrate per funzioni di polizia e guerriglia urbana. Un video mostra uomini in borghese, presumibilmente militari, davanti agli uffici dell’esercito nella capitale, mirare ad altezza uomo con fucili automatici. Sabato 19 alle 3 di notte, durante il saccheggio di un supermercato nella periferia di Puente Alto, i militari hanno aperto il fuoco e ferito due persone, di cui una gravemente. Le manifestazioni continuano e le operazioni nella capitale coinvolgono migliaia di soldati, con mezzi blindati e armi da guerra, uno scenario inedito per il Cile.
L’America Latina ha purtroppo una forte tradizione di ingerenza militare in politica, che ha favorito numerosi golpe. In Cile, un argine al fenomeno fu la dottrina formulata dal generale René Schneider, secondo cui l’esercito doveva sempre rispettare l’ordine costituzionale e non intervenire. Schneider venne assassinato da ufficiali di estrema destra contrari al governo socialista di Salvador Allende. Tolti di mezzo gli ultimi ufficiali "costituzionalisti", nel 1973 i golpisti di Augusto Pinochet passarono all’azione con l’instaurazione di una feroce dittatura. Dopo il ritorno alla democrazia, nel 1989, le forze armate hanno mantenuto un basso profilo, anche a causa dei processi per tortura negli anni del regime e di vari casi di malversazione e frode tra i vertici. Questa crisi e l’intervento militare, benché richiesto dal governo, arriva perciò come un fulmine a ciel sereno nella giovane democrazia cilena.
Secondo il World Justice Project, il Cile è il terzo Paese dell’America latina per solidità dello Stato di diritto e ottiene punteggi molto alti per la tutela del diritto alla vita, alla sicurezza e per l’assenza di conflitti civili. Secondo dati Ocse del 2018, il livello di ordine pubblico, lotta alla corruzione e snellimento della burocrazia del Cile è a 0.75 in una scala da 0 a 1. Ben al di sopra della media dei Paesi latino-americani (0.44) e quasi in linea con la media Ocse (0.78). Questo dato ne fa anche il Paese latino-americano con la migliore qualità di governance. Tuttavia, questi dati positivi sono contrastati da una crescente sfiducia nelle istituzioni, nel 2016 solo il 20% dei cileni si fidava del governo, associata a una forte percezione delle disuguaglianze sociali e insoddisfazione per i servizi pubblici. Le grandi manifestazioni studentesche non sono una novità per il Cile, ma l’esercito per le strade fa temere una reazione violenta. Il rischio è una saldatura tra settori della contestazione e gli ambienti anarchici, molto attivi in Cile.
Questi ultimi hanno piazzato numerosi ordigni, tra cui uno l’8 settembre 2014 alla stazione della metropolitana Escuela Militar, nel ricco quartiere di Las Condes. La bomba esplose provocando il ferimento di 14 persone, con amputazione di dita e fratture. Per l’attentato furono arrestati tre giovani anarchici. Nel febbraio del 2015 un’altra bomba contenente schegge esplose davanti a una chiesa, sempre nel quartiere di Las Condes, senza provocare feriti. Gli attentati si sono susseguiti anche negli ultimi anni. È emersa anche una triangolazione fra anarchici cileni, indigeni Mapuche (accusati di terrorismo e sabotaggi contro le multinazionali di deforestazione) e le FARC colombiane (che hanno ripreso la lotta armata), intenzionate ad addestrare i nativi cileni alla guerriglia. Di queste minacce dovrebbe occuparsi anche l’agenzia nazionale di intelligence (ANI), che però deve fare con circa 135 dipendenti il lavoro che i servizi argentini eseguono con 1200 persone. La condivisione di informazioni con Carabineros, Policia de Investigaciones (PDI) e intelligence militare avviene solo una volta al mese. Inoltre, all’interno della stessa ANI ci sono tensioni tra il nuovo direttore nominato da Piñera nel 2018, l’avvocato ed ex capo della Penitenziaria Luis Masferrer, e il vicedirettore David Hardy, contrammiraglio ex capo dell’intelligence militare. Una volta nominato, Masferrer avrebbe assunto con incarichi di vertice una serie di amici e colleghi, senza esperienza di intelligence, e avrebbe persino deciso di smantellare parte della rete di informatori locali.
La crisi cilena si colloca in un contesto di grande instabilità dell’America Latina. Il rischio default in Argentina, le sommosse in Ecuador, la guerriglia in Colombia, il Venezuela sull’orlo della guerra civile e il Messico devastato dai narcos. Questa situazione avrà ripercussioni economiche anche per l’Italia. L’interscambio commerciale con il Cile infatti supera 1,7 miliardi di euro, l’export italiano verso il Cile è cresciuto da 917 milioni nel 2016 a 1 miliardo e 26 milioni nel 2018. Anche l’import dal Cile verso l’Italia vale oltre 755 milioni. Ma l’incertezza e l’instabilità politica non favoriranno nuovi investimenti, anzi. Durante le sommosse alcune persone si sono introdotte al 16mo piano del palazzo di Enel a Santiago e hanno dato fuoco provocando gravi danni. Non è possibile sapere al momento se i responsabili abbiano voluto colpire in modo ideologico una multinazionale, in questo caso italiana, che ha investito molto con impianti nel Paese andino. Senza dimenticare che nella vicina Argentina i nativi Mapuche osteggiano lo sfruttamento di terre per gli allevamenti ovini di un’altra azienda italiana, Benetton.
MATTEO PUGLIESE