L’ospedale albano francescano di Procida non ha rispettato l’impegno di curare gratis i poveri al quale il ricco medico e armatore procidano Domenico Scotto Lachianca, morto nel 1940, aveva condizionato la sua eredità. Tutti gli immobili, compresa l’isola di Vivara, lasciati all’ospedale civico dopo 79 anni tornano dunque ai discendenti del filantropo.
Dopo circa 20 anni di battaglie legali, con sette gradi di giudizio e tre passaggi in Cassazione, la Suprema corte ha messo la parola fine ad una storia iniziata nel ’40 con l’apertura del testamento nel quale il dottore lasciava molti immobili all’Ospedale civico Albano, fondato nel 1858 e poi fuso nel ’29 con il terz’ordine dei francescani. Un’opera pia al quale il benefattore destinava i suoi beni, a condizione che l’ente assistesse gratis i non abbienti e che integrasse il suo Cda, composto soprattutto da religiosi, con membri laici scelti, "tra cittadini di provata probità".
I guai giudiziari per l’ente morale, che oggi è una Fondazione, sono iniziati nel 1999. Il primo passaggio al tribunale di Napoli era, infatti, arrivato l’anno dopo che un erede legittimo del medico era venuto a conoscenza del testamento e aveva verificato che l’ospedale era venuto meno ai patti, dedicando, dall’81, parte dei locali a una residenza per anziani "con assistenza alberghiera a pagamento".
Nel 2015 la Corte d’Appello di Napoli aveva accolto l’ennesimo ricorso dei discendenti. I giudici avevano verificato che la struttura non prestava più assistenza sanitaria agli infermi indigenti, né c’era una prova che il denaro ricevuto dall’ospedale, grazie agli affitti degli immobili ereditati fosse destinato all’assistenza socio-sanitaria in favore dei poveri.
Per la Cassazione ogni promessa è un debito, che mantiene la sua validità anche a distanza di 79 anni dall’impegno, preso nell’Isola di Arturo, con il generoso dottore. E ora tutto torna ai suoi discendenti, anche l’isolotto di Vivara collegato a Procida da un ponte e inserito nell’elenco delle 146 riserve naturali di Stato.