È uno dei simboli gastronomici dell’Uruguay. Una tradizione iniziata nel secolo scorso che continua a sopravvivere nelle abitudini alimentari nonostante le grandi trasformazioni che sta vivendo questo paese. Stiamo parlando della pasta, icona intramontabile della cucina uruguaiana fortemente legata all’unione familiare dal ricordo italiano. Oggi si celebra la giornata mondiale della pasta: un’occasione, questa, per raccontare una delle storie italiane in Uruguay più significative e analizzarne la sua evoluzione. Fondata nel 1937, la Cámara Uruguaya de Fabricantes de Pastas raccoglie le imprese familiari attive in questo settore e, come ogni anno, celebra la giornata internazionale con un pranzo benefico presso l’ospedale geriatrico Luis Piñeyro Del Campo a Montevideo, una città dove il numero di fabbriche di pasta attive ancora oggi è impressionante. Sono circa una sessantina i negozi secondo le stime ufficiali.
"In Uruguay quasi tutte le fabbriche di pasta sono state fondate dagli immigrati italiani a partire dall’inizio del novecento. Oggi le cose sono molto cambiate, restano davvero pochi italiani e la maggior parte di queste attività sono state comprate da famiglie spagnole". Miguel Grosso, tesoriere della Cámara e titolare della Fabrica de Pastas Pio Nono, segnala una realtà che ha vissuto grandi cambiamenti negli ultimi decenni anche se continua ad essere molto rilevante: "Prima era molto comune mangiare la pasta fresca il giovedì e la domenica (che era una religione) senza dimenticare il 29 di ogni mese con gli gnocchi. Oggi il consumo è diminuito, il giovedì si è praticamente perso ed è diventato un giorno come gli altri ma la domenica continua ad essere molto popolare. In famiglia o con gli amici per il giorno festivo ci continua ad essere sempre la pasta a tavola. È un’abitudine che resiste".
La tradizione della famiglia Grosso nell’elaborazione artigianale della pasta è iniziata con il papà di Miguel, calabrese di Malvito (Cosenza) che riuscì negli anni ottanta a comprare l’azienda dove aveva lavorato per tanti anni. "Mio padre" -ricorda Miguel- "mi diceva sempre che la nostra competenza era l’asado perché la gente preferisce stare fuori se c’è bel tempo. Per questo lui si augurava che il sabato piovesse: con la legna bagnata la gente preferisce stare a tavola anziché fare il fuoco per arrostire la carne". Diversi sono stati i motivi che hanno portato a una diminuzione del consumo della pasta in Uruguay secondo Grosso a cominciare proprio dalla crisi del tessuto economico su cui si basa il settore, ossia le piccole imprese familiari che "oggi fanno fatica a mantenere la tradizione".
Un’altra caratteristica è stata "la diffusione della pasta secca confezionata importata" così come "la crescita dei ristoranti all’ora di scegliere dove andare a mangiare. Succede la stessa cosa in Argentina, con cui siamo costantemente in contatto. Bisogna adattarsi ai cambiamenti per sopravviere". Quando si parla di pasta in Uruguay non c’è bisogno di specificare. Con questa parola si indica generalmente la pasta fresca. A dominare, nel mercato, sono i ravioli e i "tallarines" (tagliatelle o fettuccine) seguiti poi da una serie di paste ripiene tra cui tortellini, cappelletti, agnolotti e sorrentinos (ravioli tondi).
L’accompagnamento è in genere il "tuco" di carne (sugo con il ragù) anche se sono molto diffuse altre salse a base di formaggi o il pesto. "Prima c’erano poche opzioni, ravioli di verdura, tallarines e poco altro. Oggi questi 2 piatti continuano a occupare il 70% delle vendite ma l’offerta è diventata molto più variegata". Una caratteristica fondamentale della pasta uruguaiana è "la presenza esclusiva della farina di grano e la scarsa diffusione della semola che la rendono molto più leggera e facile da digerire".
Matteo Forciniti