Domani, domenica, si vota per le elezioni regionali in Umbria. Come è noto, si tratta di elezioni anticipate. L’Umbria è una di quelle Regioni andate al voto nel 2015 e la cui scadenza naturale era fissata per il 2020 (come anche Veneto, Liguria, Marche, Toscana, Campania e Puglia). Ma lo scandalo che ha travolto la giunta di Catiuscia Marini – eletta due volte Presidente nel 2010 e nel 2015 – hanno causato le sue dimissioni e quindi lo scioglimento anticipato della legislatura. Quello dell’Umbria potrebbe essere – in attesa che venga definita la data delle elezioni in Calabria – l’ultimo appuntamento elettorale in Italia prima del 2020, anno in cui andranno al voto altre 7 regioni (almeno). Ma non è questo il motivo per cui vi è grande attenzione verso questo voto. Vi sono tre grandi ragioni per le quali l’esito delle elezioni in Umbria avrà un significato tutt’altro che irrilevante sulla politica nazionale. Vediamole.
Innanzitutto, c’è da ribadire l’importanza di quella che può apparire un’ovvietà, ma non lo è: le Regionali in Umbria sono le prime elezioni a svolgersi dopo la crisi di agosto che ha portato alla caduta del Governo Conte I e alla nascita del Governo Conte II, con il Partito Democratico che è subentrato alla Lega in qualità di partner del Movimento 5 Stelle nella maggioranza. Non si tratta di un dettaglio: la crisi di agosto è stato un evento che ha segnato profondamente la percezione che hanno gli italiani del quadro politico e dei principali leader politici, ed è fuor di dubbio che anche in Umbria gli elettori – consapevolmente o meno – voteranno anche sulla base dei giudizi che si sono fatti in relazione a quelle vicende. Del resto, che le vicende della politica nazionale abbiano riflessi evidenti sul voto locale lo dimostrano le tante elezioni regionali che si sono svolte dopo il 4 marzo 2018: Molise, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Sardegna, Basilicata e infine Piemonte (rigorosamente in ordine cronologico) hanno fornito via via la dimostrazione che il centrodestra si stava rafforzando e che l’esperienza del Governo giallo-verde stava premiando nettamente la Lega di Matteo Salvini a scapito del Movimento 5 Stelle, confermando ciò che emergeva dai sondaggi registrati settimanalmente dalla nostra Supermedia. Anche questa volta, c’è da esserne certi, il voto potrebbe essere interpretato come un test sull’esecutivo in carica, il primo del Conte-bis.
Il secondo motivo è anch’esso tutt’altro che banale: le elezioni in Umbria di domenica prossima saranno le prime elezioni in assoluto in cui il Movimento 5 Stelle si presenta in coalizione con altre liste. Per di più, tra queste liste c’è il Partito Democratico, ossia il principale avversario e bersaglio polemico del M5S fin dalla sua fondazione, dieci anni or sono. Dopo le votazioni su Rousseau che avevano abbattuto un "tabù fondativo" del Movimento ("mai alleati con nessuno") prima a luglio e poi a settembre, M5S e PD hanno trovato l’accordo sul nome del candidato Presidente nella figura di Vincenzo Bianconi impegnandosi a formare, in caso di vittoria, una giunta composta di persone esterne ai partiti. Soltanto dopo un mese dalla nascita del Governo giallo-rosso a Roma, dunque, lo schema si replica in un voto locale; la stessa cosa non era mai accaduta durante i 15 mesi del Governo giallo-verde, anche perché la Lega disponeva di alleati con cui costruire una coalizione competitiva, e sarà così anche stavolta: la senatrice leghista Donatella Tesei è infatti la candidata Presidente di una coalizione che comprende anche Forza Italia e Fratelli d’Italia. Per la prima volta, quindi, sulla scheda elettorale non ci sarà più il tripolarismo che dal 2013 segna tutte le competizioni elettorali del nostro Paese, locali e nazionali. Il successo (o il fallimento) di questo esperimento in Umbria potrebbe significare la fine o l’inizio di un nuovo, del tutto inedito schema bipolare.
L’ultimo motivo per cui il voto in Umbria va guardato con particolare attenzione riguarda la geografia politica del nostro Paese, già stravolta – più volte – dal 2013 in poi. Fin dal 1948 le Regioni del Centro Italia (in particolare: Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria) si sono sempre caratterizzate per il loro essere tendenzialmente molto più favorevoli alla sinistra (o centro-sinistra, nella Seconda Repubblica) rispetto alla media. Dal 1970, anno in cui furono istituite le Regioni come livello di governo locale ad elezione diretta, queste "regioni rosse" non hanno mai avuto una giunta in cui il partito di riferimento non fosse il PCIPDS-DS-PD. Ora questa "tradizione" potrebbe avere fine, stando ai risultati elettorali più recenti. Già alle Politiche 2018 e alle Europee dello scorso maggio la coalizione di centrodestra si è rivelata più competitiva del PD e dei suoi alleati. In Umbria, questo trend ha avuto una velocità impressionante. Dalle Europee 2014 – anno in cui i 3 principali partiti di centrodestra hanno toccato il loro punto più basso degli ultimi 10 anni (22%) – alle Europee 2019 il centrosinistra è passato da un enorme vantaggio pari a circa 30 (in parte dovuto all’exploit del PD renziano nel 2014) al ritrovarsi in svantaggio di oltre 20 punti. Il mondo si è come capovolto (politicamente) in tempi rapidissimi. Anche questo spiega come mai PD e M5S abbiano optato per l’alleanza in Umbria; il sistema elettorale è un maggioritario a turno unico: il candidato Presidente con un voto in più viene automaticamente eletto alla guida della Regione, e la sua coalizione ottiene una maggioranza "blindata" dei seggi in Consiglio; inoltre – a differenza che in altre Regioni – in Umbria non è possibile il voto disgiunto, quindi gli elettori di PD o M5S non avrebbero potuto votare al tempo stesso per il loro partito e allo stesso tempo per il candidato ritenuto più competitivo contro il centrodestra.
Ma lo storico elettorale dell’Umbria dimostra anche un’altra cosa: e cioè che il voto è estremamente volatile, e quindi le preferenze degli elettori potrebbero cambiare anche di molto in pochi mesi. Quel che è certo è che – stando ai numeri appena visti – le probabilità che l’Umbria diventi la prima (ex) "regione rossa" a essere governata da una giunta di centrodestra sono piuttosto consistenti. Infine, un ultimo motivo di interesse riguarda il risultato Partito Democratico, da sempre (come abbiamo visto) il partito predominante in Umbria, che si presenta al voto per la prima volta dopo la scissione renziana che ha portato alla nascita di Italia Viva. Il nuovo partito di Matteo Renzi non sarà presente sulla scheda, quindi non sarà possibile valutarne direttamente il peso elettorale: ma il dato del PD, messo a confronto con quello delle recenti Europee, potrebbe fornire una prima indicazione a Nicola Zingaretti di quanto possa essere costata questa scissione. Un ulteriore motivo di interesse verso delle elezioni che – come ormai accade spesso – non sono mai davvero soltanto locali.