Cosa possa offrire Matteo Renzi ai fuggiaschi di Forza Italia francamente è un mistero. Parlare di area moderata e liberale con chi è stato, dalla Provincia al Comune di Firenze, fino alla Presidenza del Consiglio, segretario del partito degli eredi di Togliatti, è buffo assai.

Delle due l’una: o Renzi ha vissuto in una totale confusione di identità politica, oppure, come diciamo a Roma, "ci marcia", perché accorgersi solo ora dopo questo popò di carriera di stare dentro il partito sbagliato, più che singolare è preoccupante. Sia chiaro, la preoccupazione non è per lui, ma per quelli che decidessero di seguirlo convinti di finire in buone mani, sotto la guida affidabile e coerente di un leader che mantenga le promesse e la parola.

Eppure anche qua, dall’"Enrico stai sereno", al "se perdo il referendum lascio la politica" fino al "con i grillini mai", è una sequela di spergiuri, abiure e voltafaccia, per non parlare della quantità di occasioni in cui Renzi ha garantito che non avrebbe lasciato il Partito Democratico per nessuna ragione.

Come se non bastasse, il guascone di Rignano sull’Arno, da "liberale moderato" fulminato sulla via di Damasco, ha consentito con piacere che si formasse il Governo più comunista, postcomunista e di sinistra della storia; un Esecutivo nel quale lui sguazza bellamente, salvo minacciare sempre la qualunque. Per carità l’arma della minaccia politica di crisi è antica, a sinistra poi non ne parliamo, basterebbe pensare ai governi di Romano Prodi, ma tenere in vita il Conte bis in compagnia di Beppe Grillo, Laura Boldrini e Nicola Fratoianni è la conferma che la confusione identitaria più che passata è peggiorata. Insomma, dirsi moderato e liberale, rappresentante di un’area centrista e riformista, mentre si sostiene un Esecutivo che delibera galera, persecuzione fiscale, reati d’opinione che mescolano il sacro col profano e statalismo a tutto spiano, non è rassicurante. Oltretutto, per un liberale vero, stare in comitiva con gli assistenzialisti, giustizialisti, con chi consideri il voto popolare uno strumento di ricatto anziché riscatto della democrazia, più che una stranezza ci sembra ipocrisia.

Ecco perché diciamo che Renzi ha messo in piedi uno specchietto per le allodole per abbindolare qualche peones in cerca di futuro, qualche deputato che terrorizzato dal pensiero di lavorare spera con Renzi di confermarsi la poltrona parlamentare. Perché sia chiaro, una gran parte dei deputati e senatori da noi vivono l’angoscia di tornare alla vita di sempre, quella nella quale c’è l’ossessione di trovare un’occupazione, cosa già difficile per i super specializzati, figuriamoci per gli ex politici miracolati.

Per farla breve, Renzi conta sul corri corri di una truppa di reduci che gli consenta di aumentare il suo potere contrattuale, per portare a casa posti e qualche incarico aziendale; si tratta di una manfrina politica e di opportunismo che nulla c’entra col riformismo. Del resto se fosse autentico l’intento liberale, del bene nazionale, di una novità epocale, Renzi dovrebbe uscire allo scoperto e con un programma serio di riforme presentarsi agli elettori da leader coraggioso, anziché restare in un governo comunista per fare il pierino puntiglioso. Ecco perché chiunque decidesse di seguirlo farebbe un grande sbaglio sia di merito che di calcolo; finirebbe nel cadere in un imbroglio e basta, perché in politica oltre la faccia serve la testa.

ALFREDO MOSCA