Sicuramente le immagini di una Venezia allagata, quasi una bestialità se si pensa alle sue origini e alla sua storia millenaria, fanno stringere il cuore. Da veneto ancor di più. Ma è inutile piangere oggi per i danni ai cittadini, così come al suo patrimonio artistico inestimabile e unico, per poi dimenticarsene dopodomani. Dirette web e tv, dichiarazioni pubbliche solenni, conti correnti per la raccolta fondi, dichiarazioni di stato di calamità e poi, tra qualche settimana, arivederci Sior Paròn! Nel 2019 il Veneto con le sue meravigliose città è ancora impreparato all’emergenza climatica. Per ignavia o per interesse della sua classe dirigente e politica non coglie l’estrema necessità di cambiare rotta, ora più che mai.
Basta pensare a quanto descritto dal rigoroso Rapporto dell’Ispra sul consumo di suolo presentato da Alessandro Bratti lo scorso settembre. La "Serenissima" è purtroppo ancora maglia nera sul consumo di suolo: nel 2018 ha fatto registrare la crescita maggiore di cementificazione, +923 ettari perduti. E continua a farsi del male non facendo tesoro della sua storia: chi nella Repubblica di Venezia metteva a rischio l’assetto delle opere idrauliche subiva pene pesantissime dal potentissimo Magistrato alle Acque. Infatti nell’arco di un decennio tutto il territorio regionale è stato interessato, con vittime e danni ingenti, da eventi alluvionali e metereologici senza precedenti e si è dimostrato del tutto incapace ad affrontare l’innegabile cambiamento climatico in atto.
In Valboite nel 2009, tra Vicenza, Verona e Padova nel 2010, a Refrontolo nel 2014, nel Bellunese con la tempesta Vaia e nel Trevigiano nel 2018, fino all’Aqua Granda a Venezia e Chioggia di martedì scorso. È questa una questione politica per cui tutti i veneti dovrebbero essere chiamati a esprimersi? La risposta è ovviamente sì. Sarà questo argomento importante tra i temi principali della proposta politica nella campagna per le Regionali della primavera 2020? La risposta non è purtroppo altrettanto scontata. Malgrado ciò questioni come la sostenibilità, la mitigazione alla crisi del clima, l’economia verde interrogano i governi di tutto il mondo e, in particolar modo in Veneto, sono un punto autenticamente dirimente tra chi, come la Lega e il Centrodestra, ha guidato la regione per quasi venticinque anni e chi prova a sfidare il dominio di Luca Zaia, ovvero il Partito Democratico con le altre forze del Centrosinistra.
Non voler vedere, come hanno fatto Zaia e Galan, per la paura di cambiare e soprattutto di minare un consenso costruito in decenni di immobilismo sui temi ambientali (per conferma chiedasi a Luigi Lazzaro – Presidente di Legambiente Veneto) sta presentando il conto in modo sempre più catastrofico e difficilmente ignorabile. E proprio martedì 12 novembre intorno alle 22 mentre il vento di scirocco sferzava Venezia e faceva salire la marea dell’Adriatico la maggioranza leghista bocciava alcuni emendamenti alla legge di bilancio regionale per il 2020 utili al contrasto ai cambiamenti climatici l’aula del Consiglio Regionale del Veneto viene sommersa dall’acqua. Ha potuto più la natura beffarda che l’intelligenza umana…
Eppure il Veneto con quasi 43mila imprese green è la seconda regione d’Italia con la maggiore vocazione alla sostenibilità – ci dicono Symbola e Unioncamere. E i primati regionali continuano con 45.990 nuovi contratti per lavori verdi, cioè quelle figure professionali che si occupano di modelli sostenibili nei vari settori economici. Tocca quindi solo alla politica e ai laboriosi corpi intermedi della società veneta accettare la sfida della sostenibilità e capire che non si tratta solo di finire il Mose (sic!) ma di comprendere che per produrre ancora benessere, lavoro, sicurezza e tutela del territorio è necessario un "cambio di paradigma" con l’auspicio che, con un vero cambio di passo, la politica recuperi il suo antico ruolo simbolico e premi coloro che "mettono insieme" e che partecipano alla produzione di valori sociali, economici, culturali e ambientali e non chi vive della paura degli altri. Ce la possiamo fare se lo vogliamo e se noi veneti scegliamo di farlo.
MATTEO FAVERO