L’ingresso delle aziende cinesi nella rete 5G italiana costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale. Parola del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica), che nel rapporto finale dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza delle telecomunicazioni giunge alla conclusione che, oltre a "un innalzamento degli standard di sicurezza idonei per accedere all’implementazione di tali infrastrutture", sia opportuno valutare la possibilità di "escludere le predette aziende dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G".
LE AZIENDE CINESI SONO UNA MINACCIA Il Comitato – si legge nelle conclusioni del rapporto – non può pertanto che ritenere in gran parte fondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G". Il rischio viene dunque certificato dal Copasir nonostante le rassicurazioni in merito di una delle aziende cinesi leader del settore, il colosso tech Huawei, accusato dagli Stati Uniti e dall’intelligence di diversi Paesi europei di avere legami diretti con il Partito comunista cinese e di spionaggio industriale. L’Ad del ramo italiano Luigi De Vecchis, ascoltato in audizione assieme agli altri rappresentanti dell’azienda, avrebbe ribadito che "non sussisterebbe una normativa interna che autorizzi entità, agenzie o strutture del Governo a indurre i produttori all’installazione di apparati software o hardware". Spiegazioni che non hanno convinto il Copasir che, si legge nel rapporto di cui è relatore il deputato di Forza Italia Elio Vito, ha ricevuto "valutazioni di segno diverso da parte dei responsabili delle Agenzie". Non è vero, prosegue il documento, che le aziende cinesi godono di piena indipendenza dal governo. "È stato posto in rilievo che in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative". Lo prevede in particolare una legge del 2017, la National Security Law, che "obbliga, in via generale, cittadini e organizzazioni a fornire supporto e assistenza alle autorità di pubblica sicurezza militari e alle agenzie di intelligence". A questa si aggiunge la Cyber Security Law, che impone agli operatori di rete di "fornire supporto agli organi di polizia e alle agenzie di intelligence nella salvaguardia della sicurezza e degli interessi nazionali".
L’INDAGINE La conclusione netta del comitato presieduto dall’ex sottosegretario alla Difesa della Lega Raffaele Volpi giunge al termine di una lunga serie di audizioni sulla materia che l’organo di controllo parlamentare ha condotto dal 18 dicembre 2018. All’epoca il Copasir decise di intraprendere l’indagine dopo che un attacco informatico aveva colpito la Posta certificata della Pubblica amministrazione italiana coinvolgendo 3500 domini e quasi 500.000 utenti. Molti gli organismi chiamati a riferire in audizione. A partire dalle agenzie dei Servizi Segreti italiani, come Dis, Aisi, Aise, passando per i grandi operatori delle telecomunicazioni come Telecom Italia, Wind Tre, Vodafone Italia, Telsy, Huawei Italia, Fastweb ed Ericsson. Ma anche "aziende di interesse strategico nazionale" come Eni e Leonardo S.P.A. PRIMA LA SICUREZZA POI IL MERCATO Un passaggio significativo del rapporto Copasir spiega dunque perché la sicurezza della rete non può essere sottoposta alle ragioni commerciali. Questa, in effetti, la ragione a più riprese invocata dagli operatori del settore, secondo i quali sarebbe inopportuno escludere dalla fornitura della banda larga fornitori già attivi nel mercato italiano. "In proposito, il Comitato ritiene di sottolineare che le pur significative esigenze commerciali e di mercato, che assumono un ruolo fondamentale in una economia aperta, non possono prevalere su quelle che attengono alla sicurezza nazionale, ove queste siano messe in pericolo". "Non si ritiene pertanto di condividere le valutazioni espresse da molti degli operatori ascoltati in audizione – è l’affondo del Copasir – secondo i quali i rapporti e la interconnessione con le aziende cinesi sarebbero ormai tali da non consentire interventi limitativi della presenza di queste ultime nell’assetto delle infrastrutture di rete del nostro Paese, e ciò anche con riferimento alla rete 5G".
NO ALLA CINA NEL 5G Insomma, per l’organo di raccordo fra l’intelligence e il Parlamento italiano il governo dovrebbe seriamente prendere in considerazione la possibilità di un’esclusione diretta degli operatori stranieri che comportano una minaccia per la sicurezza delle informazioni. "A parere del Comitato, il Governo e gli organi competenti in materia dovrebbero considerare molto seriamente, anche sulla base di quanto prevede la recente disciplina dettata dal decreto-legge n. 105/2019, la possibilità di limitare i rischi per le nostre infrastrutture di rete, anche attraverso provvedimenti nei confronti di operatori i cui legami, più o meno indiretti, con gli organi di governo del loro Paese appaiono evidenti". Consegnare la rete di ultima generazione a questi attori potrebbe compromettere "informazioni e dati sensibili riconducibili a cittadini, enti e aziende italiani".
COSTI CONTENUTI Anche la motivazione del costo economico che una simile operazione potrebbe comportare per il mercato, un cavallo di battaglia delle aziende finite nel ciclone delle accuse, viene prontamente smontata dal Copasir. "I rappresentanti di una delle aziende audite hanno affermato che nel caso si dovesse giungere a un divieto per le aziende cinesi, simile a quello adottato dagli Stati Uniti, sarebbe comunque possibile procedere alla implementazione delle infrastrutture e degli apparati collegati al 5G, con costi complessivi approssimativamente quantificati in circa 600 milioni di euro, senza peraltro che ciò comporti particolari ritardi nello sviluppo della nuova tecnologia".