Al cuore della scultura con le mostre "Canova – Thorvaldsen: la nascita della scultura moderna" (Gallerie d’Italia, Piazza della Scala, fino al 15 marzo) e con quella più intima e raccolta "Canova. I volti ideali" (Galleria d’Arte Moderna di Milano, fino al 15 marzo). Milano, sempre più città europea e prima per qualità della vita in Italia, si conferma anche capitale culturale del Belpaese. Con queste due iniziative si ha, anche per la grande rilevanza scientifica, la straordinaria occasione di conoscenza della scultura tra Sette e Ottocento. Un periodo in cui ha conosciuto una decisiva trasformazione grazie al genio dell’italiano Antonio Canova (Possagno 1757 – Venezia 1822) e del danese Bertel Thorvaldsen (Copenaghen 1770 – 1844), protagonisti ma anche rivali in una Roma cosmopolita dove hanno avuto modo di confrontarsi con i valori universali della classicità. Entrambi vennero infatti riconosciuti e celebrati come i "classici moderni", capaci di trasformare l’idea stessa della scultura e la sua tecnica, creando capolavori immortali.
Alle Gallerie milanesi, grazie alla collaborazione con il Thorvaldsens Museum di Copenaghen e il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, oltre al contributo di prestiti fondamentali concessi da importanti musei italiani e stranieri e collezioni private, per la prima volta vengono messi a confronto due artisti che hanno avuto percorsi lontani ma paralleli. Qui siamo nel valore dei bianco, il marmo con le sue qualità scultoree, un elemento recuperato dalla società dei Sette-Ottocento che era tornata a guardare all’antico, ma che aspirava nello stesso tempo alla modernità. Canova è stato l’artista rivoluzionario, capace di assegnare alla scultura il primato sulle altre arti, attraverso il confronto e il superamento degli antichi. Thorvaldsen, studiando l’opera e la strategia del rivale, si è ispirato a un’idea più nostalgica della classicità, avviando una nuova epoca dell’arte nordica dominata dal fascino intramontabile del mondo mediterraneo. Il paragone era avvenuto originariamente a Roma, dove hanno trascorso la maggior parte della loro vita e raggiunto la celebrità. Canova vi si era trasferito nel 1781 da Venezia, mentre il più giovane Thorvaldsen lo raggiunse nel 1797 da Copenaghen. Nei due decenni successivi e anche oltre, in una città tornata ad essere capitale del Vecchio Continente, il loro duello a distanza si svolse su figure e oggetti simili ma con una esclusiva interpretazioni. I due artisti furono protagonisti del ritorno del mito dell’antica mitologia che, come le Grazie, Amore e Psiche, Venere, Ebe, rappresentavano nell’immaginario collettivo occidentale l’incarnazione dei grandi temi universali della vita e della morte, della giovinezza, della bellezza, ma anche delle delusioni esistenziali.
Per Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo: "Questa mostra rappresenta un traguardo di grande significato nel percorso di valorizzazione dell’arte e della cultura italiana intrapreso dalle nostre Gallerie d’Italia". Il gioco della luce coinvolse Antonio Canova alla ricerca del verso giusto delle superfici dei suoi marmi. La mostra allestita a Gallerie d’Italia (a cura di Stefano Grandesso e Fernando Mazzocca) ricostruisce le vicende che portarono a una rivalutazione dell’antico, poiché il mercato chiedeva un prodotto diverso dalle copie classiche in un periodo forte valorizzazione della sensibilità romantica, che attribuiva all’atto creativo l’unicità che alle copie mancava. Canova e Thorvaldsen non copiavano gli antichi ma idealizzarono la natura giungendo a esiti diversi. Le opere di Canova sono ideate per essere viste girandovi attorno, non a caso erano montate su piedistalli rotanti oppure viste con degli specchi.
Le opere di Thorvaldsen sono invece statiche, frontali e chiuse nella loro idealità, anche se in alcune la naturalezza della posa, presa dal vero, rompe questo schematismo. Questo confronto trova la sua esaltazione in due gruppi marmorei: Le tre Grazie di Canova e Le Grazie con Cupido di Thorvaldsen, una sorta di viaggio nella bellezza ideale. Per Canova questo senso scultoreo si ritrova nei movimenti e nelle luci delle superfici. Per Thorvaldsen si trova nella semplicità del disegno e nei chiaroscuro della materia prima. Recuperando la tradizione della pittura veneta, Canova si lancia un’ottica policromatica dettata dalla luce. Il segreto della sua arte era l’"ultima mano" con la quale calibrava gli effetti luminosi, talvolta anche al lume di candela. Insomma, una superficie che doveva assomigliare a quella umana per rendere ancora più esaustiva l’opera.