Sessant'anni fa, il 2 gennaio 1960, moriva Fausto Coppi, leggenda del ciclismo e dello sport italiano. Nato a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre 1919, fu stroncato da una banale malaria contratta in Africa durante una corsa. Lasciò questo mondo per entrare nel mito: per tutti è e sarà sempre il Campionissimo.
In vent'anni di carriera, infatti, ha vinto semplicemente tutto: cinque edizioni del Giro d'Italia, due del Tour de France, un Mondiale, tre edizioni della Milano-Sanremo, una Parigi-Roubaix, cinque Giri di Lombardia. Ha vinto anche due edizioni del Mondiale su pista, nell'inseguimento individuale.
Soprattutto, insieme all'amico-rivale Gino Bartali (memorabile la foto dello scambio di borraccia tra i due sul Col du Galibier, nel 1952) ha restituito all'Italia la speranza nella vittoria, un'immagine fiera e orgogliosa nello sport come nella vita, in quel difficile Dopoguerra.
Un'Italia che si riuniva per ascoltare alla radio i resoconti dei suoi successi e che strabuzzava di fronte alle cronache rosa per la peccaminosa relazione con la 'Dama Bianca', Giulia Occhini, per la quale aveva abbandonato il tetto coniugale scandalizzando l'opinione pubblica e guadagnandosi anche una condanna in Tribunale.
Un'Italia che non ha mai potuto accettare la sua prematura scomparsa, poco più che quarantenne, al termine di una parabola sportiva impareggiabile. Anche oggi il suo paese natale, ribattezzato Castellania Coppi in suo onore, lo ha ricordato con una celebrazione. Il mito del Campionissimo, o dell'Airone, altro suo soprannome di battaglia, non morirà mai.
Rino Dazzo