di Franco Esposito
Chiudono in tanti. Pernigotti e Embraco le espressioni più attuali del Piemonte in crisi. In pericolo cinquemila posti di lavoro. Si dibatte tra mille difficoltà anche l’indotto dell’auto, in sofferenza per il passaggio all’elettrico. La messa di Natale come segnale del disagio della Regione Piemonte nello specifico del lavoro. Officiata dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, la cerimonia è stata celebrata al freddo e al gelo. Sulla strada provinciale 120 a Riva di Chieri. Intorno all’altare improvvisato, la temperatura prossima allo zero, quattrocento lavoratori di un’azienda che seriamente rischia di chiudere. La proprietà di Ventures, ex Embraco, non aveva concesso i locali per la cerimonia religiosa.
Pernigotti con la sua amara vicenda in aperta contraddizione col tipo dolce di produzione famoso nel mondo, poi la Mahle. L’aziendache produce pistoni per auto. Già annunciata la chiusura di due stabilimenti. Quattrocentocinquanta posti di lavoro a rischio. Ollistem, azienda del settore telecomunicazioni al servizio di Intesa, minaccia parimenti di chiudere. Alla Comitel sono 130 i lavoratori a rischio. Una cordata cinese ha presentato proposta di rilevare solo metà della forza lavoro in due fabbriche di Torino e di Volpeno.
Rilevata dal gruppo Ventures, l’ex Embraco di Riva di Chieri è oggi lasciata in balia di se stessa. La proprietà è in pieno disimpegno, a rischio quattrocento posti. Il Piemonte è in pieno dramma. In pericolo, come detto, cinquemila posti. E la cosa ha il suono strano del paradosso in un’area per lungo tempo una delle locomotive industriali del Paese. Ci sono imprese che chiudono perché trasferiscono altrove la produzione. Come Embraco, appunto. Altre, come Mahle, in cui i posti di lavoro si perdono per la rivoluzione che sta investendo il mondo dell’automobile.
All’Embraco i 450 dipendenti hanno assistito alla progressiva diminuzione delle commesse. L’azienda si è giustificata con la riduzione degli ordini in Europa: ridotta la capacità degli stabilimenti di La Loggia e Saluzzo, in cui vengono prodotti pistoni per auto. La spiegazione, secondo i dipendenti, è inaccettabile. Evoca infatti un problema strutturale. Nel mondo delle auto elettriche i pistoni saranno presto un ricordo del passato. Faranno la stessa fine i cilindri, le marmitte, le valvole.
A Villar Perosa, feudo degli Agnelli, la Tekfor ha problemi con le commesse delle bielle. La Martor, nella zona di Ivrea, produce componenti per auto e chiede di licenziare 117 dipendenti. Proprio per il lavoro scomparso o sul punto di sparire, l’arcivescovo di Torino da mesi è impegnato in una sorta di via Crucis nelle fabbriche del Piemonte. Solidarietà, parole d’incoraggiamento, preghiere, “Padre eterno pensaci tu”. Mentre gli osservatori dell’automotive comunicano ai quattro venti che per realizzare un’auto elettrica basta un quarto degli addetti necessari per la produzione di un motore tradizionale. Il progresso come faccia dolorosa del dramma lavoro in Piemonte.
L’aspetto addirittura tragico è rappresentato della speranza che non c’è: non sono annunciati in arrivo investimenti in un settore prossimo alla sentenza di condanna. Si tenta di creare una filiera dell’elettrico a Mirafiori, in collaborazione con la francese Peugeot, per la divisione delle produzioni. Le prospettive appaiono però sfumate, lontane. La cassa integrazione negli stabilimenti del gruppo oggi riguarda, a turno, quattromila dipendenti. E non finisce qui.
La vicenda Pernigotti è rimasta al centro dell’attenzione nel 2019. Industria simbolo del Piemonte nel campo dolciario, è finita distrutta nel tritacarne di carte bollate sulla gestione del marchio. Il caso ha messo a rischio centocinquanta dipendenti. Ora pare che la proprietà turca del marchio voglia riprendere la produzione. Ma certezze, al momento, non ce ne sono.
Quali le ragioni del dramma lavoro in Piemonte? E chi sono gli eventuali colpevoli dello sfascio? “Il sistema è squilibrato, l’auto ha perso troppo peso e l’altra economia non è in grado di sopperire”, è l’opinione dell’ex governatore della regione, Sergio Chiamparino. “Non basta realizzare decine di migliaia di auto di lusso per far vivere l’indotto”. Propone una ricetta concreta il rettore del Politecnico di Torino, Guido Sarraco. “Servono un centinaio di milioni per il rilancio di automotive, di aerospazio, e per la costruzione della Città della Salute di Torino. Tutti devono lavorare insieme, non ci devono essere bandiere della politica”.
Sarà dura, comunque non facile. I politici conoscono una sola bandiera, la propria, quella del proprio partito. Ma è innegabile che la ricetta proposta dal rettore del Politecnico può apparire come la soluzione che non scontenta tutti. La crisi del Piemonte, oltretutto, non favorisce una buona immagine per il marketing del territorio. Servirebbe però a far arrivare del denaro pubblico. “Solo che finora non abbiamo visto un soldo di quelli promessi da Roma”. E senza denari, antico adagio in voga da sempre non solo a Napoli, “non si cantano messe e non si toccano…”.