Italo Moretti, scomparso nei giorni scorsi, è stato una personalità straordinaria. Certamente un grande giornalista. Ma non solo. Aveva un carisma particolare, nato e cresciuto con le corrispondenze memorabili dall’America Latina, a cominciare da quelle coraggiosissime sul golpe cileno o sull’Argentina.
Il suo sguardo internazionalista fece conoscere al pubblico della Rai mondi che l’informazione paludata e provinciale del servizio pubblico pre-riforma teneva ai margini delle news. Servizi e inchieste che svelarono i retroscena e la barbarie delle dittature di e in luoghi considerati nient’altro che la parte minore delle Americhe o del mondo. Estese l’impegno al Nicaragua, laboratorio di nefandezze e pure di speranze democratiche, nonché ai territori europei meno “centrali” come Spagna e Portogallo.
Giustamente Moretti ricevette numerosi premi e riconoscimenti. Si occupò molto del caso di Ilaria Alpi, divenendo il presidente del premio dedicato a lei e a Milos Hrovatin. Veniamo al capitolo essenziale della gloriosa biografia professionale di un maestro del giornalismo. Fu uno dei protagonisti assoluti della magica stagione del Tg2 diretto da Andrea Barbato, vera fucina di cambiamento e di innovazione: nella forma e nella sostanza.
Il telegiornale veniva “condotto” e non semplicemente “letto”. Come dimenticare la verve e il linguaggio del corpo di Italo Moretti? Erano già il messaggio. Un caposcuola, cui centinaia di colleghe e di colleghi devono stile e cifra comunicativa. E poi il Tg3, capace di aprire un’altra nuova stagione. Ne divenne direttore, finalmente, nel 1995. E la condirezione della Testata regionale, altra esperienza fondamentale.
Chi ha avuto l’opportunità di conoscere e di frequentare una persona delicata e affettuosa pure sul piano umano, piange una scomparsa irrimediabile. Un abbraccio ai suoi cari, già colpiti da lutti e dolori. Grazie Italo, per tutto e di tutto.
Vincenzo Vita