Per più di tremila anni il Mediterraneo non è stato un semplice, enorme bacino idrico racchiuso fra Africa ed Europa, con le sue tempeste, con i suoi flutti vorticosi fra Scilla e Cariddi, o alle soglie delle Colonne d'Ercole ma ha rappresentato l'anima, il termometro biologico, il codice genetico delle terre lambite e dei popoli che le hanno abitate. Si può affermare che questo "angolo" di mondo ha influenzato centinaia di milioni d'anime e menti, eternamente viaggianti e ansiosi di conoscere l'ignoto, di scoprire nuove terre, di non ritenere le zone d'insediamento come un punto d'arrivo, ma di partenza, per scambi culturali o indispensabile esigenza di commercio. Quando il mare non ha più consentito la libertà dell'ingegno e della conoscenza, quando è diventato "nostrum", allora le battaglie, le guerre di potere, d'invasione e in nome delle religioni - niente di più deviante - hanno imposto il divieto di libero transito alle idee.
Ma è rimasto un ponte ideale fra vincitori e vinti, fra ricchezza e miseria, fra speranza e disperazione, fra isolazionismo ed integrazione. Nonostante le tante lingue nate e fiorite etimologicamente lungo il Mediterraneo, gli influssi grecoromani o l'affermazione imponente dell'arabo, c'e un idioma indecifrabile ma latente che accomuna i paesi che si affacciano su di esso, tale da configurarsi come un vero legame di "parentela" malgrado guerre, contrasti e genocidi, e lo abbiamo diffuso in ogni angolo di mondo. D'altra parte cosa può renderci più simili della nostra tendenza o natura prevaricatrice e colonialista? Ecco perché ho dubbi e riserve sul progetto di un'Europa e un'Italia dietro un muro di cinta, il filo spinato o un blocco navale. Non è questa la nostra storia, quanto meno il suo effetto vincente. Noi siamo stati migranti, abbiamo sofferto fame, morte per affondamento, pubblica sopraffazione e violenze private, espressioni di ludibrio sulla nostra "provenienza etnica", ma abbiamo vinto, abbiamo fatto la storia, abbiamo contribuito a costruire nazioni.
Rileggendo gli scritti di Luigi Villari, storico, viaggiatore, cronista a tempo perso, oltre che vice-console d'Italia dal 1906 al 1910, mi sono imbattuto in una specie di catalogo degli emigranti italiani negli Stati Uniti. Interessante quanto dice a proposito del tipo napoletano: "...gaio, di grande intelligenza e adattabilità...artistico, loquace, superstizioso, balzàno..spesso crudele e codardo... nelle grandi occasioni può dimostrare grande eroismo". Non è che sia cambiato molto dopo un secolo! Si dice, ed è dogma per il credente, che la nomina di un Papa all'interno del Conclave sia infine opera dello Spirito Santo che scende sull'assemblea cardinalizia. Bergoglio, figlio di emigranti piemontesi-liguri in Argentina, è stato eletto Papa. Non poteva essere diversamente in questo periodo di qualunquismo culturale, di "rigetto" della natura inclusiva e migrante dell'anima mediterranea, e Francesco si è fatto sentire.
In una globalità sempre più dilagante, inarrestabile, non possiamo dimenticare o "abiurare" chi siamo, da dove veniamo, o come siamo stati capaci di tramutare la tragedia e il dolore per l'abbandono di una terra ingrata, in un successo o nell'ineguagliabile soddisfazione di aver realizzato noi stessi, i nostri sogni. Certo, oggi, in Italia vive la parte minore degli italiani del mondo. Il problema demografico esiste e non sarà risolto con nostalgici ricorsi a codicilli da Opera Nazionale Maternità e Infanzia, o bonus per famiglie numerose di "pura razza italiana", ma leggendo e interpretando bene la lezione storica. Discendiamo da coesioni, annessioni ed assimilazioni fra tribù e popoli diversi già prima del 1000 a.C., abbiamo continuato a evolverci, a crescere e riprodurci, sempre in tal modo ed il colore della stessa pelle ha conosciuto dei cambiamenti, anche se minimi, significativi, tutti distinti da un simbolico codice genetico storico e spirituale: la millenaria anima migrante del Mediterraneo.
ANONIMO NAPOLETANO