Il futuro del lavoro, o meglio, "dei lavori" sará diversificato: da una parte, lavori importanti, che daranno alla persona soddisfazioni e denaro; dall’altra, "lavoretti" che serviranno per sopravvivere in un mondo pieno di incertezze. Il lavoro vero (quello di fabbrica o dell’ufficio, tanto per intenderci) tenderá a scomparire, sostituito dalle tecnologie e dalle prestazioni precarie, molte volte possibili per via delle nuove applicazioni che mettono in contatto diretto l’utente e il prestatore di lavoro. Questa non è un’opinione mia: è una tendenza che economisti, sociologi e esperti in materia, esaminano con molta attenzione. Per riferirsi ad essa, usano l’espressione inglese (l’inglese fa tutto piú elegante) di "gig economy".

Curiosamente l’espressione "gig" é vincolata alla musica, ed in particolare al jazz. Negli anni 20 una "gig" era una breve composizione jazzistica e passó a significare "qualcosa di breve durata". Oggi l’espressione "gig economy" vuole significare lavori di breve durata, passeggeri, di poca rilevanza, accessori, temporali. In Italia abbiamo tradotto il concetto con l’espressione "Economía dei lavoretti". L’INPS con parole piú forbite qualifica queste prestazioni come "lavoro occasionale", che definisce anche come "prestazione professionale che può essere fornita da persone che desiderano intraprendere attività lavorative in modo sporadico e saltuario". Il problema è che oggi i "lavoretti" crescono a scapito del lavoro vero. Ieri una bottega poteva avere il suo garzone che consegnava i prodotti ai clienti; oggi il garzone si é moltiplicato per dieci, per cento, per creare quelle vaste legioni di driver o delivery, como sono appunto i lavoratori di Foodora o Deliveroo, o in Uruguay i ciclisti di Pedidos Ya.

Curiosamente l’esplosione dei "lavoretti" é legata allo sviluppo delle tecnologie, che consentono - attraverso piattaforme on-line - di organizzare il lavoro di centinaia di prestazioni singole frammentate tra di loro. Il driver o delivery è forse l’espressione piú visibile di queste modalitá di lavoro, ma altre ne nascono continuamente a partire da nuove applicazioni. Queste ultime mettono in contatto l’utente con il prestatore in differenti settori: badanti, servizio domestico, autisti, babysitters, piccoli operai per riparazioni in casa, camerieri per i ristoranti nei fine settimana o per eventi festivi, etc. Il mondo della "gig economy" mostra l’espansione della precarietá, perché i "lavoretti" non solo sono scarsamente retribuiti, ma generalmente non godono delle minime tutele previdenziali. Una gran fetta dei "lavoretti" fa parte dell’ampia fascia del lavoro sommerso, mentre in altre circostanze le protezioni sociali sono minime.

Per tutelare questo tipo di lavoratori, è stato introdotto in Italia un sistema contributivo, che ha il nome di "voucher" e che a me ricorda la cosídette "marchette", che si pagavano nel secolo scorso per la previdenza sociale delle domestiche. I "vouchers" sono "buoni lavoro INPS" che il datore di lavoro acquista presso il tabaccaio per coprire la parte previdenziale del costo del lavoro occasionale. A fine giornata - perché il lavoro di questi prestatori generalmente non dura piú di una giornata - l’utente o datore di lavoro consegna al lavoratore la retribuzione e il "voucher" previdenziale. L’accumulazione di vouchers assicurerá minime prestazioni assicurative nel futuro. Naturalmente non tutti i datori di lavoro acquistano il "voucher" dal tabaccaio, per cui parte di queste contrattazioni sará in nero.

L’espansione della "economia dei lavoretti" sorprende. La collega Francesca Scarabelli commenta che i dati Istat riguardanti l’Italia parlano chiaro: "prima del 2010 le persone coinvolte in questo fenomeno erano meno di 100.000; nel 2011 erano già più che raddoppiate, arrivando a 215.000, mentre nel 2016 erano diventate un esercito di un 1.800.000 lavoratori. C’è da notare, però, che il lavoro accessorio considerato dalle statistiche Istat è solo quello che veniva retribuito con il sistema dei voucher, prima aboliti e poi reintrodotti nel 2017, quindi c’è una vasta fetta del fenomeno che sfugge a questo report". I dati preoccupano, perché non é facile immaginare una societá cosí polarizzata tra lavoro di qualitá e lavoro precario. Di questo dovremo tenerne conto per capire che il futuro delle nazioni dovrá affrontare situazioni sociali ogni volta piú complesse e cariche di incertezza.

JUAN RASO