Chi vive tempi rivoluzionari raramente ne è consapevole così come dei cataclismi che provocano. Nell’America del Nord, un decennio prima della Dichiarazione di Indipendenza, praticamente nessuno chiedeva l’indipendenza delle colonie dalla madrepatria inglese. In effetti, nel 1771, appena cinque anni prima che fosse dichiarata la ribellione, le voci che promuovevano l’indipendenza erano poche e lontane tra loro.
Il passaggio dall’era prerivoluzionaria all’era rivoluzionaria durò meno di un anno. Lo stesso in Francia dove nessuno poteva immaginare che una carestia scoppiata nel 1788 avrebbe causato, un anno dopo, l’ondata rivoluzionaria che travolse l’antico regime. E nel 1848 chi avrebbe previsto che una rivolta popolare in Sicilia avrebbe contagiato più di cinquanta paesi, provocando il crollo definitivo di vecchie strutture feudali e creando stati nazionali indipendenti?
Le rivoluzioni non maturano in pochi anni, sono manifestazioni di dinamiche che si susseguono sotto la superficie per decenni, poi di colpo producono, da qualche parte, una scintilla che innesca incendi devastanti. Veniamo ai nostri giorni. Dell’anno appena passato saranno ricordate le proteste di massa che senza alcun coordinamento hanno riempito le strade di tre continenti: a Hong Kong, al Cairo, a Santiago del Cile, San Pietroburgo, Bratislava, Barcellona e Beirut — in Asia, in Europa, in Sud America, nei Caraibi, in Medio Oriente.
Il 2019 è stato soprannominato dal Washington Post l’Anno del Dimostrante. Che si sia trattato di difesa di libertà civili, di ribellione contro l’autoritarismo, l’austerità economica o l’oppressione fiscale, le proteste hanno avuto un comune denominatore: l’opposizione a uno status quo che non funziona più per la maggioranza delle popolazioni. Quando la politica non è più in grado di rispondere ai problemi chiave della società e quando per troppo tempo rifiuta di capire e riconoscere la legittimità del malcontento degli elettori, vuol dire che la politica è fallimentare.
La convinzione nella supremazia della politica, cioè nella sua capacità di risolvere ogni problema è stata la religione secolare del nostro tempo. Ma la politica crea solo l’illusione di soluzioni ed è fallita perché i governi che beneficiano dello status quo e sono sempre immuni dalle conseguenze delle loro scelleratezze, sottovalutano gravemente le condizioni della maggioranza. Questo è il motivo per cui sono costantemente sorpresi dai risultati elettorali inattesi. Alla fine, quando la maggioranza della popolazione perde ogni speranza di un governo funzionante, il conflitto politico e sociale si radicalizza fino a far crollare tutto ciò che è considerato permanente, ovvero lo status quo finanziario e politico.
Dal fallimento della politica emergono ciclicamente i trend che guidano il cambiamento. Il primo è il populismo. Questo fenomeno appare sempre quando intere classi di cittadini non si sentono più rappresentate e quando subiscono un costante declino degli standard di vita. In generale, il populismo è l’effetto di una contrazione della classe media conseguente a una perdurante crisi economica, fenomeno verificatosi soprattutto in Occidente. Quando la classe media si espande e sente che, nonostante le difficoltà quotidiane, va avanti, il populismo non attecchisce. Quando, invece, le persone sentono di perdere terreno invocano la mano forte per sovvertire lo status quo.
Il secondo trend è quello del separatismo. In primo luogo, è il risultato dello scontro tra identità nazionali o regionali con entità più grandi, tipicamente globalizzate, come ad es. l’Unione europea, percepite come distanti, aliene e oppressive. I movimenti sono più forti quando sono radicati nella storia, nella cultura, nella lingua e nel sostegno popolare, come ad esempio quello della Catalogna che tuttavia contagiano chi cerca di guadagnare solo più autonomia finanziaria o politica, con poca intenzione di creare una nuova comunità politica. In secondo luogo il separatismo è dovuto alla crescita dell’immigrazione percepita come minaccia all’identità nazionale, all’occupazione e alla sicurezza. La limitazione di tale immigrazione è diventata una questione politica chiave, favorendo la crescita dei movimenti politici di destra.
Il terzo trend è l’accelerazione dell’aumento della diseguaglianza economica e sappiamo dalla storia che l’aumento della disuguaglianza di ricchezze e redditi è la prima causa delle guerre sociali. I governi, avendo fallito con politiche economiche, fiscali e sociali, hanno passato il testimone alle banche centrali, tentando di riparare all’insufficienza della politica. Ma la creazione di inflazione monetaria funziona per breve tempo – da qui la sua popolarità nel corso della storia – ma, alla fine, fa accumulare ancor di più asimmetrie e disuguaglianze economiche. Il denaro emesso centralmente è stato distribuito, a spese della maggioranza, alle élite parassitarie che dominano i sistemi finanziari e politici e che beneficiano dello status quo. Pertanto anche il sostituto monetario del processo politico è fallito.
Questi trend, interconnessi si sono congiunti a livello globale al trend demografico formando un macrotrend inarrestabile. Circa il 40 per cento della popolazione mondiale ha 24 anni o è al di sotto. Sono i giovani a essere in prima linea nelle richieste di cambiamento, e a guidar le proteste di strada. Molti di questi stanno crescendo in Paesi i cui governi sono alle prese con recessioni, stagnazioni, cali di standard di vita e regimi di austerità e il fenomeno globale di aspirazioni giovanili non realizzate sta producendo bombe politiche a orologeria in particolar modo in Occidente e America Latina. Purtroppo essendo tutti in bancarotta, i governi, eletti o meno, non riusciranno a creare condizioni per superare la crisi. Anzi, le "correzioni" dello status quo accelereranno solo il crollo dello status quo perché tutte finalizzate a mantenere il potere nelle loro mani.
Si ripropone pertanto lo scontro storico tra governi e popoli. E siccome non è mai accaduto che i governi, dopo aver infranto tutte le promesse elettorali e creato i peggiori disastri economici, abbiano mai ceduto il potere volontariamente per il bene dei loro paesi, il potere sarà loro strappato. Nel disperato tentativo di mantenerlo, diventeranno ancora più aggressivi fino a quando l’intero sistema politico collasserà. Il sistema, del resto, si corregge solo in questo modo anche se purtroppo, nel processo, viene varcato il confine tra una società libera e una autoritaria. Ma questo è semplicemente lo schema che si ripete nel corso della storia.
GERARDO COCO