Vittima anch’io della beffa. Di norma non amo autocitarmi, non mi piace punto, ma in questa circostanza tra il comico e il grottesco non posso esimermi. Mi attengo ai fatti. Vado a Roma, impegni di lavoro, l’incontro con un cospicuo personaggio per buttare giù l’idea di scrivere un libro sulla sua vita. Mi servo alla Metro, come da sana vecchia abitudine. Una scelta obbligata nelle grandi città ad alta densità di traffico e di problemi stradali. L’appuntamento è in piazza Barberini, nella hall di un famoso albergo apprezzata sede delle mie frequentazioni ai tempi in cui lavoravo come inviato de Il Mattino. Problemi nessuno, ignaro io degli avvertimenti raccolti qua e là. "A Roma della metro faresti bene a non fidarti fino in fondo, facile che incappi in qualche tranello". Esagerazioni, penso, i soliti disfattisti in servizio permanente effettivo. I consiglieri peccatori di eccessivo affetto.
Arrivo bene, in anticipo sull’orario fissato dell’appuntamento. La spiegazione del progetto, l’accordo facile, il pranzetto svelto in un ristorantino in zona, tutto molto bene, come da programma e secondo i migliori auspici. Mi congedo dalla persona a metà pomeriggio, dovendo rispettare l’orario del ritorno in treno a casa, dalla Stazione Termini. Una pacchia, dico a me stesso. Che vuoi che sia in metro da Barberini, niente, pochi minuti. Un illuso, io. La clamorosa sgradita sorpresa ad annunciare la beffa romana. Come definirla, una stranezza? Forse un’anomalia? Uno scherzo cinese, senza pensare al coronavirus, per carità? Lascio il giudizio agli amici lettori, certo che sapranno scegliere la migliore espressione per dire di un qualcosa che non saprei come definire.
Dalla stazione metro Barberini si esce, ma non si entra. Pensate, cari amici lettori, che stia scherzando? Proprio no: la stazione è aperta a metà. Riaperta dopo quasi un anno, per lavori, è stata dotata di un cartello. Un annuncio: "l’accesso non attivo". Traduco: chi arriva a Barberini con la metro può guadagnare l’uscita, ammirare la fontana al centro della piazza, godere della bella architettura e del verde degli alberi all’inizio della salita laterale che porta in via Veneto, ma se deve rientrare per prendere il treno, non può farlo nella maniera più assoluta. L’ingresso è sprangato. Capito, gente? Questa è l’ennesima opera d’arte dell’amministrazione che gestisce la Capitale d’Italia. L’underground di una città malandata, in una giornata primaverile di inizio febbraio. Una fermata della Metro A aperta solo a metà. Di una comicità e di un grottesco unici, davvero cose ridicole, mai viste o ascoltate prima.
La stazione Barberini è stata chiusa 319 giorni. Undici mesi, in seguito al guasto delle scale mobili. Ventiquattro persone rimasero ferite a ottobre 2018, quando andò in tilt l’arresto di emergenza. La stazione Repubblica out per otto mesi. Scattò l’inchiesta. Undici gli indagati per il crollo delle scale mobili alla metro Barberini; quattro solo dell’Atac, l’azienda tranviaria capitolina dei trasporti. Privati del più importante mezzo di collegamento, i commerciati della zona hanno chiesto al Campidoglio un risarcimento di due milioni "per danni subiti". In attesa di trovare la soluzione – la piedivia, il bus a quando sarebbe passato, o il taxi a portata di segnalazione con la mano – apprendo le disgustose cose sulla stazione metro Barberini attraverso i racconti scandalizzati appunto di un paio di commercianti. Gente che non sa più a che santo votarsi, molto più di me sono sorpreso dalla scandalosa novità.
Pensavo di cavarmela con pochi minuti in metro, un'agile breve corsa nel ventre di Roma, invece sono costretto ad attrezzarmi. Possibile che un grottesco del genere venga rappresentato nella Capitale d’Italia? Possibile sì, mi spiegano: "L’incidente e il disastro delle scale mobili, poi le verifiche, il collaudo timido, e l’attesa. Sembrava tutto finito, invece non lo è". E pare che la cosa, in Campidoglio, non interessi a nessuno. Vincono le braccia allargate, abbiamo già dato, non possiamo farci nulla, i collaudi procedono lenti e singhiozzanti". Da tipico scaricabarile romano, in chiarissima sofferenza il commercio della zona e più in generale il popolo della metropolitana. Piazza Barberini appare lontana da tutto e da tutti. Turisti compresi. Intanto, arrangiatevi.
Mi sono dovuto adattare anch’io, non romano proveniente dalla Toscana. Atac si scusa per i disagi, ovvio. Proprio mentre la metro di Roma va incontro al suo quarantesimo compleanno, il 16 febbraio. Nel momento in cui è verificato l’ultimo inconveniente, l’Atac prometteva servizi sostitutivi. "Intanto, per ora, non è in funzione l’ascensore che dal sottopassaggio di piazza di Spagna conduce a Trinità dei Monti: il ministero non l’ha ancora consegnata al Comune". Davvero una pena, amici. La Metro Roma è una serie di cartelli dal "non attivo" al "fuori servizio". Chiusure precauzionali prolungate danno la misura sì di una certa opportuna prudenza, ma stanno a significare uno zelo tutt’altro che innocente. E non vale prendersela, nella fattispecie, con il presunto accanimento della malasorte. In particolare quello sulle scale mobili.
Io smoccolante protagonista involontario di una disavventura, sono salito al volo sul primo taxi di passaggio. Stramaledetto quel cartello all’ingresso chiuso della metro, ho inveito in silenzio contro il traffico puntualmente intasato. Minuti dodici per arrivare a Termini. Preso il treno, ne ho dette quattro potete immaginare a chi. Arrivederci Roma, spero non a presto.
Franco Esposito