Puntuale è arrivata l’ennesima verifica per risolvere non di certo i problemi e le emergenze del Paese ma la caterva di nomine da fare, iniziata con l’agenzia delle entrate e con le grandi manovre in Rai. Sia chiaro si sta parlando pure di tasse e di "grossa semplificazione" ma in realtà è allo studio solo un maquillage elettorale da sventolare entro aprile in vista delle altre regionali, insomma un contentino per raccattare voti da qualche parte. Figuriamoci del resto se la giungla pazzesca di un sistema fiscale assatanato e persecutorio come il nostro si possa ripulire, disboscare e semplificare con ritocchi e minuzie sulle aliquote e sulle detrazioni. Oltretutto incredibile ma vero, dopo averci rimbambito con i trionfalismi sulle salvaguardie Iva sterilizzate perché altrimenti sarebbe stato un terremoto, oggi si parla di rimodulazione e di aumento selettivo, perché che piaccia o meno i 21 miliardi per compensarle nel 2021 non ci sono.
Insomma viene a galla il grande imbroglio elettorale col quale la maggioranza a dicembre ha spacciato per successo l’intervento sull’Iva, omettendo di annunciare che si trattava di un semplice trasferimento all’anno successivo. Tanto è vero che oggi siamo punto e a capo e siccome trovare 21 miliardi per coprire l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto è una chimera, i Nobel del governo scoprono l’opportunità di un aumento selettivo dell’Iva e lo prefigurano come giusto, conseguente e necessario, roba da matti. Eppure sarebbe bastato fare la stessa cosa qualche mese fa per evitare che la manovra riempisse di altre tasse gli italiani e aggravasse difficoltà fiscali e debito pubblico, ma certo non avrebbe sortito lo stesso effetto annuncio elettorale di quello che c’è stato. Oltretutto la giustificazione ipocrita della nascita di questo governo è stata proprio la battaglia contro l’aumento dell’Iva spacciata per vitale rispetto alla crescita e non si capisce come sia possibile che tre mesi fa l’aumento sarebbe stato esiziale mentre oggi normale e conseguente.
Per farla breve siamo alla conferma di una maggioranza allo sbando su tutto, messa in piedi per il solo motivo di impedire non certo l’aumento dell’Iva, che difatti aumenterà, ma che gli italiani andassero a votare consegnando la vittoria al centrodestra. Lo stesso motivo per il quale si cerca in fretta e furia, entro aprile, di scodellare il maquillage fiscale a vantaggio di segmenti elettorali significativi, per ottenere il massimo nelle amministrative primaverili, annunciando che si tratterà di una riforma grande del fisco. Non è vero, perché per riformare la fiscalità bisognerebbe partire dal presupposto che fosse uno shock tale da stimolare a raffica gli investimenti, l’intrapresa, la produzione, l’occupazione e i consumi con un abbattimento forte e generale del carico per tutti, piuttosto che per qualcuno. Inoltre una vera riforma dovrebbe ribaltare la filosofia attuale, spostando il gettito dalle persone alle cose per favorire la produzione della ricchezza e colpirla quando si manifesta, e intervenire sui metodi riscossivi che sono persecutori e usurari ristabilendo il diritto all’innocenza del contribuente.
Insomma andrebbe invertito l’onere della prova a carico dei cittadini e avviato un metodo di riscossione civile, equo e collaborativo, come andrebbero sfoltiti i mille balzelli impropri disseminati e nascosti ovunque fra centrali e locali che ossessionano e depauperano la gente. Ecco perché viene da ridere a sentirli parlare di riforma generale quando chiaramente si tratta di operazione elettorale che toglie da una parte per offrire all’altra più conveniente sotto elezioni, del resto da una sinistra tasse e manette, tassa e spendi in assistenza e statalismo c’è poco da aspettarsi. Cambiano il pelo e non il vizio che ci ha rovinati, quello del tutto pubblico, del posto fisso che non serve, dei mille enti solo per distribuire assunzioni e ingigantire una burocrazia spinta alla follia, della spesa improduttiva, delle baby pensioni, della cultura dell’assistenza, quello della sinistra insomma.
ALFREDO MOSCA