Altro ritorno all'antico per i Cinque Stelle dopo la battaglia sui vitalizi. Il Movimento ha presentato al Senato - a firmarlo quasi l'intero gruppo - un disegno di legge per rilanciare la moneta fiscale. La proposta che prevede i Certificati di Credito Fiscale, emessi dal governo per garantire crediti sulle tasse future e utilizzati dallo stato per finanziare provvedimenti di spesa, era contenuta già nel secondo dei 10 punti del programma esteri del Movimento ai tempi dell'era giallo-verde. Ed è stata riproposta a prima firma dal senatore Elio Lannutti, molto vicino a Beppe Grillo. È già in corso - spiegano fonti parlamentari pentastellate - un'interlocuzione con il governo e in particolar modo con il sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa. L'idea non è l'uscita dall'euro ma di percorrere quella che viene definita la "terza via", ovvero una strada parallela e non alternativa. "Si tratta di vere e proprie obbligazioni trasferibili e negoziabili emesse dallo Stato, che i portatori potrebbero utilizzare per ottenere rimborsi fiscali a distanza di due anni dalla loro emissione".
Da assegnare a titolo gratuito ad alcune categorie di persone, a imprese o a specifici settori di investimento. Ai lavoratori dipendenti per esempio "in modo da integrare il loro reddito". O potrebbero servire per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale e magari "ridurre le imposte delle imprese sul lavoro". La convenienza - si spiega nel ddl - è che tali obbligazioni "sarebbero portatrici di un valore immediato, dal momento che incorporerebbero titolarità certe, ossia ottenere risparmi fiscali futuri" e potrebbero "essere scambiate con euro nel mercato finanziario o utilizzate - parallelamente all'euro - per acquistare beni e servizi".
"I Ccf - sottolineano i pentastellati - sarebbero in grado di creare la liquidità di cui il sistema economico è stato privato in anni di politiche di austerity", si tratta di una misura che "permetterebbe al Governo di riprendere il totale controllo della sua politica fiscale senza infrangere le regole della zona euro". Il problema è che negli ultimi decenni è avvenuto "un processo di erosione della sovranità". In nome del "dogma dell'austerità" si è determinato "un serio problema di democrazia sostanziale" e i certificati di compensazione fiscale possono rappresentare "un potente strumento capace di disinnescare alcune incombenti minacce finanziarie". I Ccf sono "una moneta complementare", non legale, "basata su sconti fiscali differiti, relativi a imposte non ancora maturate" e "in grado di creare la liquidità di cui il sistema economico è stato privato".
Aumenterebbero la domanda interna, ne deriverebbe un miglioramento della competitività delle imprese attraverso una riduzione del costo del lavoro. E si arriverebbe a realizzare anche lo scomputo degli investimenti nel calcolo del deficit, anche per questo motivo si tratta - viene sottolineato - di "una proposta in linea con ciò che ha sostenuto il ministro dell'Economia Gualtieri" e per di più è una misura "in perfetta conformità con le regole europee". Adottando questa moneta fiscale lo scenario sarebbe roseo: "Sulla base di ipotesi prudenziali è stato calcolato - si rimarca nel testo di legge - che la crescita del Pil dell'Italia nel biennio genererebbe entrate fiscali aggiuntive sufficienti a compensare i rimborsi fiscali. Le proiezioni mostrano che tali picchi si attesterebbero intorno ai 100 miliardi di euro".
L'idea in realtà non è nuova, fu partorita dall'economista Cattaneo nel 2012 e poi affinata nel 2015 da un gruppo di ricercatori ed economisti tra cui Bossone, Gallino, Sylos Labini. Si ipotizza che i Ccf possano essere utilizzati negli scambi, per lo meno tra imprese e tra imprese e Stato, e che anche i contratti di lavoro possano in futuro essere stipulati in lire fiscali e non in euro. "Potrebbero circolare molto fluidamente in presenza di un circuito commerciale a livello nazionale al quale sarebbero chiamate ad aderire le grandi imprese pubbliche". E ancora: "Sarebbe il modo di creare un ampio sistema di accettazione degli sconti fiscali che, prima di arrivare a scadenza, potrebbero funzionare come un mezzo di pagamento complementare all'euro su base volontaria". I Ccf - si aggiunge - non concorrono alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi ed "essendo sconti fiscali a scadenza di due anni avranno un impatto posticipato sul bilancio pubblico".