Egregio Direttore, non mi piacciono i panegirici, non sono avvezzo ad incensare le persone; anche quando ne ammiro molto qualcuna, e capita, mi sforzo sempre di mantenere un certo distacco, perché gli esseri umani sono complicati e tutti hanno sfaccettature che spesso sfuggono… Mai visto, nemmeno da lontano, mai parlato insieme, ma tutte le volte che leggo cosa pensa e dice, che ascolto le sue interviste, e poi guardo, semplicemente guardo, il suo lavoro, ebbene Renzo Piano vorrei averlo come padre. Una forza determinata e tranquilla, una lucidità cristallina, un’immensa umanità, un’infinita competenza unita alla modestia di chi sa che c’è sempre molto altro da sapere e non si accontenta mai. Uno scienziato umanista, sintesi mirabile del meglio della cultura occidentale moderna. Le cose e le idee. Mai separate, mai in contrapposizione. Le idee generano le cose e le cose esprimono le idee. Nulla fine a se stesso, tutto armonicamente inserito in un’idea di sviluppo umano, di evoluzione continua, di progressivo avvicinamento ad un ideale di perfezione, ma concreta, tangibile, realizzata e non solo idealizzata.
Il senso del lavoro di squadra, il senso del rapporto con l’ambiente, il rispetto per le singole persone, viste tutte come essenziali al completamento dell’opera, la soddisfazione di vedere uno spazio vuoto che si riempie con un’opera che cresce, che resta, che cambia il mondo e non l’offende. La capacità di interpretare un progetto complessivo e non concentrarsi solo sull’opera, sul manufatto, per quanto mirabile. Perché il manufatto non è solo un oggetto, seppure bellissimo, ma è una realizzazione della cultura, del tempo, della tecnologia, dell’ambiente sociale che lo ha generato. Sono millanta le realizzazioni che Renzo Piano continua a lasciarci, tutte segnate dalla sua firma ideale, tutte riconoscibili al primo sguardo; cinquant’anni di attività, e ancora sfide accettate e vinte. Il Ponte, l’ultima testimonianza. Nessuno lo chiami Ponte Piano, per favore, perché se ne stravolgerebbe il senso. Quello è il Ponte di Genova, e dentro, sopra, intorno, sotto c’è la capacità creativa e realizzativa della parte migliore di questa nazione.
Lui non ne sarebbe contento, perché sa che quella sfida l’ha accettata a nome di un intero Paese, colpevole con le sue miserie di non avere evitato un disastro, non dico proprio annunciato, ma certamente prevedibile. Questa è la forza dello stesso Paese che ha saputo trasformare la vergogna del naufragio della Costa Concordia, con il suo squallido Comandante, in un’impresa memorabile di recupero, che non ha eguali nella storia della marineria. Si può fare. Sappiamo fare. Abbiamo la cultura e gli strumenti per fare. Ma purtroppo abbiamo anche la cultura del non fare, del rimandare, del rabberciare, del tirare a campare, del farci furbi, maledetta cultura dalla quale non riusciamo a divincolarci. Come piombo nelle ali, come zavorra insopportabile, come condanna alla mediocrità, quando l’eccellenza è stata per secoli la cifra assoluta della nostra civiltà, quello per cui essa è stata conosciuta ed apprezzata nel mondo.
Dice: quanta retorica! Macché! Retorica è crogiolarsi nel nulla, è gonfiare bolle di sapone, riempirsi la bocca di parole; non è il ferro e l’acciaio, il legno ed il marmo, il cemento e il vetro, le macchine, le fabbriche e le intelligenze, artificiali e non, il cibo, il territorio, quando riusciamo a difenderlo e non offenderlo con l’ignoranza. È che non riusciamo a crederci, non riusciamo a trasformare in energia vitale tutta la storia che ci portiamo appresso. Ma si può fare. Si deve fare. L’architetto Renzo Piano, Senatore a vita della Repubblica Italiana, ce lo ricorda ogni giorno.
Ernesto Trotta